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O marotto immaginäio do sciô Molière ··· O marotto immaginäio do sciô Molière ··· Hot

O marotto immaginäio do sciô Molière ···

O marotto immaginäio do sciô Molière
O marotto immaginäio do sciô Molière
Non ci sono costumi, né scenografie, pochi i movimenti, qualche accenno musicale: è il teatro in voce, un progetto che, già avviato lo scorso anno da Mario Bagnara con Giuliana Manganelli e Vito Malcangi (ricordiamo L’Angelo di Dio), si ripropone ora con la traduzione in dialetto genovese del Malato immaginario di Molière. L’operazione è interessante, e non soltanto perché agevola la messa in scena, riducendo i costi e le prove degli attori e risulta fruibile anche dai non vedenti, ma soprattutto per la sfida che in sé rappresenta: il principio secondo cui nelle parole teatrali si riassumono implicitamente gesti e movimenti, e il pubblico ama ricostruirsi nella mente le scene, via via che le sente recitare. Con un attacco affabulatorio, Mauro Pirovano si cambia le scarpe sul palco e inizia una confessione con il pubblico su quanto siano affascinanti i sacchetti di plastica rilasciati dalle farmacie! Il pubblico abbocca e intreccia un vivace dialogo tutto improntato a forme più o meno conclamate di ipocondria. Il passaggio alla figura del baccàn (padrone) Argante del testo di Molière è breve.

I personaggi convenzionalmente voltano le spalle al pubblico quando sono fuori scena e si girano al momento in cui prendono la parola. Così, partendo da una spiritosa lista di numeri e conti, si avvia subito molto spigliato il battibecco con la domestica (molto ben recitato) che ha come argomento forte un trattamento intensivo a base di clisteri. Al centro della discussione la scelta di uno spasimante per la figlia: caldeggiato dal padre, Tommasino, figlio di un celebre medico, il quale sciorina meccanicamente la sua dichiarazione d’amore, fermandosi giusto per tirare il fiato (molto divertente). Arriva anche, e si introduce con uno stratagemma in casa, l’amante riamato della figlia, Cleante, che amleticamente recita una sua dichiarazione alla ragazza. Grazie anche alla natura pittoresca del dialetto, i personaggi risultano ben visibili: nel padre-padrone, nella figlia timida e obbediente, nella moglie frivola, chi non ritrova figure di un proprio passato famigliare di qualche generazione fa? Anche i precedenti delle scene e delle caricature del teatro di Gilberto Govi lasciano una traccia indelebile (lo stesso intrigo matrimoniale richiama i “maneggi per maritare una figliola”). La moglie di Argante quanto più appare sdolcinata e accondiscendente tanto più lascia trapelare i suoi veri interessi, economici, nei confronti del consorte. Sarà proprio la messa in scena di una falsa morte di Argante a fornire, attraverso le varie reazioni dei congiunti, la verità dei sentimenti, al di là delle ipocrisie. Il sentimento alla fine trionfa. Ma, a quel punto, colpo di scena, arriva Molière personaggio, che rievoca il ruolo che fu suo fino alla morte, quello di Argante. Per suggellare la riuscita della traduzione, nella locandina dello spettacolo è lo stesso Molière che, sotto forma di lettera dal Paradiso degli scrittori, si rivolge ai Genovesi per rallegrarsi del fatto che viene riportato sulla scena il suo lavoro: potrà così prendervi parte.


valutazione: 1 2 3 4 5

Produzione: Compagnia I Caroggê; traduzione e adattamento in genovese: Mario Bagnara; regia: Enrico Aretusi; musiche: Roberto Leoncino; interpreti: Maria Teresa De Moro; Stefania Galuppi, Valentina Garroni, Mafalda Mannu, Giovanni Ansaldi, Alessandro Baldini, Giovanni Cadili Rispi, Carlo Maria Giuso, Luciano Rotella, Mauro Pirovano.


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