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Rockaby

Sono trascorsi 60 anni da quando a Peter Brook fu affidato l’incarico di direttore artistico del Covent Garden di Londra: oggi, a 84 anni, il regista inglese è internazionalmente riconosciuto come uno dei maggiori talenti del teatro del nostro tempo. L’incontro tra il suo genio e quello del drammaturgo irlandese Samuel Beckett, altra figura insigne della scena contemporanea, ha permesso la realizzazione di questo spettacolo, composto da quattro brevi atti e da un componimento poetico, concepito in lingua francese per il Théatre des Bouffes Du Nord di Parigi, dove fu presentato in occasione del centenario dalla nascita di Beckett (2006), quindi tradotto in lingua inglese e portato in tournée in giro per il mondo dal 2007. Oggi lo spettacolo viene riproposto in Italia (dove ha anche ricevuto il Premio Ubu quale migliore spettacolo straniero presentato nel 2008), con tre nuovi attori, ma con la medesima intensità drammaturgica e rappresentativa che ne ha determinato il successo di pubblico e il plauso della critica a livello mondiale.

La messinscena di Brook offre una visione tragicomica della vita umana: il regista ha infatti l’abilità di coniugare alla leggerezza della commedia la profondità della tragedia, che contraddistingue la nostra esistenza. La ricerca della verità caratteristica della drammaturgia di Samuel Becket si completa nell’umorismo e nel minimalismo del teatro di Brook, dando vita ad una rappresentazione intensa e terribile della durezza della realtà. Nel primo atto breve, Rough for Theatre I, nello spazio vuoto del palco si realizza un incontro tra un violinista cieco e un vagabondo senza una gamba, che si confrontano e si scontrano, fino a realizzare di avere l’uno un bisogno morboso dell’altro, sebbene si tratti di una necessità fondata sulla violenza e sul risentimento reciproco tra due figure ai margini della società. Il secondo pezzo, Rockaby, è invece una ballata disperata di una donna sola, che attende con rassegnata accettazione la morte restando seduta su una sedia a dondolo; la protagonista di Brook è una giovane pervasa dalla solitudine, che non siede su un vero dondolo, ma su una comune sedia, ripetendo ossessivamente la propria quotidiana cantilena. Il quadro successivo, Act without words II, vede i due attori protagonisti affidare completamente le proprie capacità espressive alla comunicazione corporea e facciale: il contrasto tra due disposizioni differenti dell’animo umano di fronte alla vita quotidiana, quella di chi si dispera e quella di chi la affronta con solarità, viene qui proposto con sferzante umorismo. Si tratta però solo di due reazioni diverse ad un unico e inevitabile destino, che si esplicita, subito dopo, nel breve componimento intitolato Neither, in cui Beckett riflette sull’insensatezza di un’esistenza fondata sul nulla. L’ultimo atto vede protagoniste tre anziane amiche, che, sedute su un a panchina, ricordano momenti della propria vita passata: le signore a turno si alzano lasciando sole le altre due che si rivelano una terribile verità sull’assente, forse una malattia mortale e senza speranza, di cui la diretta interessata, però, deve restare all’oscuro. La comicità è smorzata dalla profonda riflessione sulla realtà, in questa messinscena di Brook, che si avvale di tre ottimi attori, capaci di far valere le proprie doti comiche, ma anche espressive in un  teatro fisico, in cui lo spazio vuoto e il minimalismo permettono al regista di raggiungere e toccare la vera essenza del teatro di Samuel Beckett.

valutazione: 1 2 3 4 5 

Testi: Samuel Beckett  Regia: Peter Brook  Interpreti: Hayley Carmichael, Antonio Gil Martinez, César Sarachu  Luci: Philippe Vialatte  Assistente alla regia: Marie Hélène Estienne  Produzione: C.I.C.T./ Théatre des Bouffes Du Nord, Paris in collaborazione con Lilo Baur e William Wilkinson per MillBrook Productions in coproduzione con Young Vic Theatre, London

       • http://www.teatrodellatosse.it/

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