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L'uomo, la bestia e la virtù ··· Hot

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Image L’uomo la bestia e la virtù di Luigi Pirandello (1867 – 1936), rappresentato per la prima volta a Milano nel 1919, è tratto da una sua celebre novella. Nel 1952 il testo fu utilizzato per la sceneggiatura di un film, di cui oggi esistono solo copie in bianco e nero causa il degrado irreversibile del negativo originale a colori, diretto da Steno (Stefano Vanzina, 1915 – 1988) che, nonostante un cast eccezionale in cui figurano Totò, Orson Welles, Viviane Romance, Franca Faldini e Carlo Delle Piane, ebbe una pessima riuscita, anche perché il produttore, Carlo Ponti, impose un finale accomodante del tutto estraneo allo spirito dell’originale.

La storia è quella dell’apparentemente onesto e virtuoso professor Paolino che mette in cinta la signora Perrella, madre di un suo allievo e vedova bianca di un collerico capitano marittimo che, da quando si è fatto una seconda famiglia a Napoli, cerca di approdare il meno possibile a Palermo e, quando vi è costretto, trova ogni pretesto per litigare con la moglie e sottrarsi ad ogni dovere coniugale. Per tentare di salvare capra e cavoli, la pubblica decenza e la relazione illecita, gli adulteri servono al burbero navigante una torta afrodisiaca che, dopo alcuni inciampi, otterrà l’effetto desiderato spingendolo ad un’abbondante copula con la consorte, il che giustificherà, in futuro, la condizione della donna. La virtù della signora sarà salva, la rispettabilità dell’uomo (il professore) resterà senza macchia, la tresca potrà continuare e il cornuto (la bestia) finirà gabbato. Fabio Grossi presenta una versione di questo copione che segna il ritorno sulla scena di Leo Gullotta dopo una quindicina d’anni d’assenza. La proposta è professionalmente corretta, dotata di una scenografia bella e funzionale, ma aggiunge assai poco alle possibili letture di quest’opera. Anche se l’interprete si preoccupa di scandire i momenti di dialogo che più segnano un contrasto fra parole e realtà (la sostanziale copertura di un adulterio gabellata da difesa della virtù) non c’è quasi nulla, ed è l’elemento più ovvio, che sottolinei i punti cardine della drammaturgia di questo autore, dal relativismo psicologico (I sei personaggi in cerca d’autore, 1920) sino alla messa in discussione della separazione fra realtà e finzione (Enrico IV, 1922). In conclusione un’opportunità di buon livello, ma priva di quel guizzo inventivo indispensabile a trasformarla in una messa in scena memorabile.

 

valutazione: 1 2 3 4 5 

Testo: Luigi Pirandello (1867 – 1936); produzione: Teatro Eliseo; regia: Fabio Grossi; scene e costumi: Luigi Perego; musiche: Germano Mazzocchetti; luci: Gigi Saccomandi; interpreti: Leo Gullotta, Carlo Valli, Antonella Attili, Gianni Giuliano, Silvana Bosi, Bruno Conti, Chiara Cavalieri, Federico Mancini, Gianni Verdesca.

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