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La parola ai giurati ··· La parola ai giurati ··· Hot

La parola ai giurati ···

Image Reginald Rose (1920 – 2002) è stato uno degli autori di punta della rete televisiva americana CBS e il suo lavoro di maggior successo, portato sul piccolo schermo nel 1954 da Franklin Schaffner, è La parola ai giurati (Twelve angry men). Nel 1964 Leo Genn ne curò un adattamento per il palcoscenico che debuttò a Londra. Il ricordo più vivo di questo testo è legato alla versione cinematografica fattane, nel 1957, da Sidney Lumet, all’epoca appena trentenne, che diresse un alcuni attori d’eccezione capeggiati da Henri Fonda e Lee J. Cobb. Nel 1997 William Friedkin ne curò una pregevole versione televisiva con Jack Lemmon e George C. Scott nei ruoli principali. Infine, lo scorso anno, Nikita Michalkov, che ha ottenuto il Leone d’Oro alla Carriera all’ultima Mostra di Venezia, ne ha diretto una trasposizione, molto libera, intitolata 12 e rivolta al dramma della guerra in Cecenia.

La trama di questo dramma è presto detta: nei giorni di una caldissima estate dodici giurati popolari sono riuniti in camera di consiglio per decidere la sorte di un ragazzo ispanico (nel film russo, un cece no) accusato di parricidio. La riunione inizia nella convinzione generale che si tratti di una semplice formalità, tante sono le prove e le testimonianze che sembrano inchiodare l’imputato. Tuttavia, basterà che uno dei loro, sempre identificati con semplici numeri, si rifiuti di sbrigare la pratica con poche battute per poi consegnare al boia il ragazzo, perché i dubbi inizino a serpeggiare e le certezze ad incrinarsi sino ad un completo rovesciamento di quello che sembrava un verdetto scontato. E’ il classico testo ambientato in un luogo chiuso che riunisce un’umanità variamente rappresentativa di varie sensibilità sociali: l’antisemitismo, i pregiudizi razziali, le turbe psichiche, la rabbia verso i giovani, la superficialità consumistica…. E’ anche un testo per attori, con due ruoli d’eccellenza, l’architetto che scatena i dubbi e il padre che odia il figlio, parti che hanno visto, come già segnalato, le prove sublimi di Henri Fonda, Jack Lemmon, Lee J. Cobb e George C. Scott. Alessandro Gassman, all’esordio nella regia teatrale, confeziona uno spettacolo preciso e molto professionale, con ampi richiami cinematografici e una scena bella e funzionale. Laddove le cose vanno meno bene è proprio sul piano della recitazione che, se trova in Manrico Giammarota un ottimo vilain, mostra crepe evidenti proprio sul versante del capocomico – regista, che tenta, riuscendoci in misura solo parziale, la strada della recitazione sotto tono. Un altro punto negativo, in un bilancio complessivamente alto, è nella scelta di una chiave di lettura abbastanza generica, come la denuncia dell’orrore della pena di morte. E’ un obiettivo più che lodevole, ma che richiedeva qualche precisazione in più onde evitare il rischio della genericità dei buoni sentimenti.

 

valutazione: 1 2 3 4 5 

Titolo originale: Twelve angry men; autore: Reginald Rose (1920 – 2002); traduzione: Giovanni Lombardo Radice; regia: Alessandro Gassman; scene:  Gianluca Amodio; costumi:  Helga H. Williams; musiche:  Pivio & Aldo De Scalzilight; designer: Marco Calmieri; sound designer:  Hubert Westkemper; interpreti: Alessandro Gassman, Manrico Gammarota, Sergio Meogrossi,  Fabio Bussotti, Paolo Fosso, Nanni Candelari, Emanuele Salce, Massimo Lello, Emanuele Maria Basso, Giacomo Rosselli, Matteo Taranto,  Giulio Federico Janni

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