I fratelli Karamazov (Brat'ja Karamazovy) è l'ultimo romanzo scritto da Fëdor Michajlovič Dostoevskij (1821 –1881) che mori quattro mesi dopo la pubblicazione dell’ultima puntata del libro sulla rivista letteraria il Messaggero Russo (Russkij vestnik).
Questo racconto è universalmente considerato uno dei capolavori della letteratura ottocentesca, tanto che Sigmund Freud, (1856 –1939) lo usò nell’elaborazione della teoria dell’uccisione del padre come elemento indispensabile alla crescita dell’individuo, lo dimostra il saggio Dostoevskij e il parricidio (1927), che analizza il romanzo dal punto di vista psicanalitico. Da questo testo Matteo Tarasco, in veste di regista, ha elaborato uno spettacolo affidato alla compagnia di Glauco Mauri (89 anni !!) e Roberto Sturno che innerva una proposta di Teatro Tradizionale nel senso più completo e migliore del termine. Un esempio di spettacolo d’altri tempi in cui il ruolo attoriale riveste una parte fondamentale mettendo in sordina sia la scenografia sia l’attualità. Un grande esempio di classicità che non teme di diventare anche un po’ noiosa. La storia dei tre fratelli che convergono nell’assassinio del padre dissoluto e autoritario che sta per unirsi, in terze nozze, con la fidanzata di uno dei figli e lo fa in forza del denaro di cui dispone in barba alla giovinezza e ai desideri della donna. Il vecchio ha alle spalle una vita peccaminosa in cui non ha mai rispettato nulla, se non il denaro e l’alcol. Questo anche a scapito dei desideri dei figli che hanno visto in lui un avversario più che un genitore. Ebbro di cognac e follemente invaghito della ventiduenne Agrafena Aleksandrovna Svetlova (Grušenka) è ucciso dal figlio naturale Smerdjakov, il quarto Karamazov, nato dall'unione tra Fëdor Pavlovič e la jurodivaja (demente) Lizaveta Smerdjaskaja. Smerdjakov ha sempre vissuto, come servo, con il padre naturale e si trova coinvolto nella lotta tra lui e il figlio Dmitrij per Grušenka. Anche lui è una figura negativa, che sfrutta l'epilessia per farsi scagionare dall'omicidio e, dopo l'ultimo colloquio con l’altro fratello Ivan, si suicida. Un testo complesso che la regia non ha voluto attualizzare anche se c’erano molte ragioni per farlo. Un'ultima nota. Glauco Mauri ha già interpretato una versione teatrale di questo testo nel 1954 con la regia di Meemo Benassi.