Una scuola, un istituto specializzato in corsi professionali, abitata da studenti che vivono e incarnano le tensioni e le marginalità del nostro tempo. Un laureato in Storia, assunto come “Professore Potenziato”: è uno straniero di terza generazione al suo primo incarico ufficiale. Il suo compito è tenere un corso di recupero pomeridiano a sei studenti sospesi per motivi disciplinari. Il Preside è chiaro: il corso non ha rilevanza didattica, serve solo a dar crediti agli studenti che, nell’interesse della scuola, devono finire l’obbligo scolastico e diplomarsi (dunque andarsene) il prima possibile.
Questo il quadro proposto da Vincenzo Manna ne La Classe. In verità, l’idea di trasformare la scuola nel paradigma della società non era particolarmente nuovo. Andando dietro nel tempo si potrebbe citare persino il film Il seme della violenza (Blackboard Jungle) diretto da Richard Brooks nel 1955 che suscitò molte discussioni. In tempi più recenti a cavalcare questo tema è stato Domenico Starnone dai cui testi sono stati tratti i film La Scuola (1995) di Daniele Luchetti, Auguri, professore (1997) di Riccardo Milani e Denti (2000) di Gabriele Salvatores. Nel caso in questione si tratta di costruire un ritratto dalle tinte fosche sui giovani che stanno per entrare nella società puntando il dito sull’intolleranza e l’ignoranza. Ne emerge un quadro sconfortante del futuro che ci aspetta e di un’atmosfera di disperazione che, soprattutto nel primo tempo dello spettacolo, sembra non avere alternativa. Nel finale la prospettiva cambia e, pur senza cadere in un buonismo insopportabile, approda a un barlume di speranza che, in qualche maniera, rasserena, seppur parzialmente, l’orizzonte.