Moni Ovadia (all‘anagrafe Salomone) è nato in Bulgaria nel 1946 in una famiglia ebraico sefardita. In giovane età si è trasferito a Milano con i genitori e dal 1984 si dedica al teatro rivelando subito attenzione alla cultura yiddish, attenzione che segnerà tutta la sua produzione.
Orientato a sinistra non teme di sostenere i diritti dei palestinesi e l’avversione per l’ultranazionalismo israeliano, usato da Benjamin Netanyahu e dalla destra per colonizzare i territori di quell’antico popolo. Il suo spettacolo più recente, Dio ride Nish Koshe, (Dio ride, così così, in yiddish) arriva a venticinque anni di distanza da Oylem Goylem (Il mondo è scemo sempre in lingua yiddish) e ne mantiene la struttura fatta di canzoni alternate a storielle (barzellette?) in cui si mettono in ridicolo i vizi e la contraddizioni degli ebrei. Lo spettacolo ha per referente principale Dio che il teatrante non esita a chiamare in causa per sottolineare l’assurdità di certi comportamenti dell’ortodossia ebraica e le ferite che essa causa agli altri popoli, i palestinesi prima di tutti. In questo è rivelatore l’episodio, in prefinale, in cui un vecchio ebreo accompagna il nipotino a vedere alcune meraviglie del passato (case, pozzi, uliveti) attribuendosene l’edificazione e si sente rispondere dal ragazzino: ma nonno non mi hai mai detto che da giovane tu eri pastinese. In altre parole, questo teatrante è uomo di pace, magari pace armata, ma rispettosa di ciò che stato il passato e attenta a ciò che è il presente. Sul palcoscenico è accompagnato da una nuova versione della Moni Ovadia Stage Orchestra, un gruppo di musicisti in cui figurano anche due gitani i cui suoni segnano l’intero spettacolo.