Il cinema e il teatro sono pieni di storie che partono da una qualche riunione familiare per rappresentare le contraddizioni, i veri e propri odi che si nascondono sotto rapporti parentali apparentemente idilliaci.
La biologa e autrice Sam Holcroft ha scelto il pranzo di Natale per rappresentare, in Le regole per vivere, il disfacimento di una famiglia inglese della media borghesia. Come scrive nella presentazione il regista Antonio Zavatteri, lo spettacolo mette in scena un pranzo di Natale di una famiglia assai logorata: genitori anziani ormai incrostati di manie e di abitudini, figli non più giovani gonfi di rancore, incastrati in relazioni complicate e frustrati da vite professionali che non hanno avuto il fulgore previsto in gioventù. Tutti caratterizzati da comportamenti che fanno di loro delle “maschere” profondamente umane e in cui è facile riconoscersi.
È un’originale macchina teatrale: mette gli spettatori in un gioco attivo comunicando, con scritte e cartelli, determinate caratteristiche dei personaggi, una sorta di dissezione dei comportamenti e delle relazioni, che produce un’architettura comica di incredibile efficacia. In altre parole, un testo da cui traspaiono le difficoltà di sopravvivere mantenendo i sogni di gioventù. Il regista Antonio Zavatteri e Fausto Paravidino, che ha curato l’edizione italiana, si sono limitati, trasponendo il copione, quasi solo a infarcire lo spettacolo di riferimenti a programmi televisivi di casa nostra senza spingere troppo sui riferimenti sociali pur presenti nel testo o che avrebbero potuto essere scovati da una regia più attenta al significato profondo. Così facendo hanno privilegiato i momenti comici, andando incontro ai gusti di un pubblico poco sensibile al valore sociale di ciò che viene rappresentato. In questo modo la proposta diventa una palestra per attori, facilmente intercambiabili, e un’occasione commercialmente valida, ma artisticamente quasi irrilevante.