Un famoso scrittore, noto per aver realizzato una serie ambientata nell’Ottocento e imperniata sua una donna che si chiama Misery, ha un incidente d’auto mentre si trova in vacanza. È salvato da una sua fan che lo estrarre dall’auto precipitata in un dirupo e lo porta a casa sua.
Ha fatture multiple, ma la sua salvatrice non lo indirizza a un ospedale, ma, di fatto, lo tiene prigioniero. La situazione diventa progressivamente peggiore quando la donna scopre che, nell’ultimo romanzo appena edito, Misery muore. Il prigioniero è obbligato a riscrivere la vicenda facendo rivivere la donna. Questa la traccia da cui muove Stephen King (1947) nella costruzione di Misery (1987), un romanzo da cui è stato tratto nel 1990 il film Misery non deve morire diretto da Rob Reiner. Ora il testo è diventato un copione teatrale affidato, per la regia e l’interpretazione, a Filippo Dini. Sin dal primo apparire la storia è stata letta come una denuncia dell’invadenza, al limite dell’aggressione, dei fan nei confronti dei propri idoli. Filippo Dini allarga il discorso all’intera industria editoriale denunciando l’utilizzo di qualsiasi fatto quale pretesto per creare un evento. Questa scelta presuppone interpreti particolarmente abili e lo stesso Dini e Arianna Scommegna lo sono e licenziano uno spettacolo interessante e di grande forza. Purtroppo, questa è l’unica nota positiva di una proposta abbastanza tradizionale e che meritava una rielaborazione e un’elaborazione ancora maggiori.