Si sposta la tenda, si apre un mondo incantato, si entra in una realtà parallela evidenziata da pochi elementi scenici, si inizia a respirare un’aria di magia. Spoon River è un insieme di emozioni impossibili da raccontare perché devono essere vissute nello spazio creato da Marcello Chiarenza assieme al regista. Quattro attori e sei danzatori – ma spesso il confine tra recitazione e danza non viene rispettato – danno vita ad un insieme di monologhi in cui i morti raccontano senza pudori la loro vita non sempre priva di lati negativi.
Svuotata la platea delle poltroncine, il vasto spazio diviene un bosco fatto di rami uniti in maniera tale da raffigurare alberi. Qui si muovono i fantasmi di chi è sepolto nel cimitero di Spoon River fatto immaginare attraverso la scarna bellezza dell’unico elemento scenico presente: è tutto minimalista ma non povero perché le idee donano una ricchezza assoluta ad ogni cosa, fanno rivivere il mondo di Edgar Lee Masters e Fabrizio De André coinvolgendo emotivamente gli spettatori ospitati sul palcoscenico condivideendo il mondo segreto del teatro con gli occhi dell'attore, invertendo l’usuale angolazione visiva. Non è una drammaturgia con il cantautore genovese soverchiante (pochi e bene inseriti i brani tratti da Non al denaro, non all'amore né al cielo che aveva realizzato nel 1971), non è una scarna lettura delle poesie pubblicate dallo statunitense tra il 1914 e il 1915 sul quotidiano Mirror di St. Louis. Nello spettacolo c’è tutto ma solo come base per una nuova opera, un racconto che rende perfettamente le atmosfere di un piccolo paese del Midwest inesistente nella realtà ma credibile nell’essenza con la vita a tratti banale, in cui la morte unisce buoni e cattivi, donne e uomini in una nuova dimensione in cui tutti sono davvero uguali. Deus ex machina è Giorgio Gallione, regista tra i migliori ormai anche in ambito europeo. Dopo avere selezionato gli epitaffi facendo un doloroso lavoro di scrematura su oltre 240 scritti, ha creato un’opera coinvolgente, emozionante in cui unisce in maniera simbiotica dramma e commedia, commozione ed allegria, danza e recitazione ottenendo dagli artisti da lui scelti assoluta dedizione e, perché no, complicità nel creare qualcosa di assolutamente innovativo. Presentato la prima volta nel 2009, ripreso nel 2013 è ora di nuovo visibile a 10 anni dal suo debutto. Nulla si è perso del fascino iniziale, guardandolo oggi tanto si guadagna se lo spettatore lo aveva visto in precedenza e ora può nuovamente gustarlo. E’ uno dei pochi lavori che conosciamo in cui rivedere è vivere nuove sensazioni, è scoprire chiavi di lettura differenti, è godere ancora più di quella strana gioia che non abbandona mai lo spettatore per tutti gli 80 minuti dello spettacolo. Splendide le luci di Aldo Mantovani, perfetti i movimenti coreografici creati da Giovanni Di Cicco. Sarebbe ingiusto segnalare un attore o un danzatore perché si ometterebbero altri di pare bravura: qui vince la capacità di tutti nel sentirsi parte di un riuscito spettacolo teatrale.