Leo Muscato, anche regista, e Laura Perini hanno scritto in occasione del cinquantennale della morte di Don Lorenzo Milani un testo che si occupa della sua figura importante nel mondo cattolico e civile del dopoguerra italiano, che ha saputo segnare importanti punti di riferimento per un nuovo modo di intendere scuola, rapporti con la Chiesa Cattolica e la politica.
In quasi due ore e mezzo, divise in due parti, raccolgono l’immenso materiale da lui creato ma anche quanto di lui è stato detto e scritto. Rischi ce ne erano tanti, dall’agiografia al qualunquismo, da un susseguirsi di dati ad un’eccessiva fantasia nel ricostruire la sua vita. Questa grande battaglia è stata vinta, riuscendo a creare un racconto in cui la drammaturgia racchiude solo fatti e dati che hanno preciso riscontro nella realtà della cronaca. Ovviamente, era impossibile narrare tutto quanto fatto da Don Milani in uno scritto teatrale seppure non breve, ma le scelte sembrano essere state corrette, riuscendo a dimostrare quanto fosse moderno il suo pensiero, quali importanti intuizioni avesse avuto, quanto sia stato utilizzato il suo metodo di insegnamento. La bravura degli autori è nell’essere riusciti a trasfondere l’emozione del suo messaggio senza mai tradire un racconto in cui la cronaca è parte quasi centrica. Da subito fu un prete scomodo perché carismatico, uomo che ebbe una conversione tardiva dopo avere fatto una vita da agiato borghese che si era concesso una non breve avventura nel mondo dell’arte come pittore anche dotato. L’obbedienza alla Chiesa, da lui onorata anche a costo di grandi problemi con la coscienza, lo costrinse ad una vita grama in cui i superiori lo punirono per essere diverso dai preti che accettavano anche situazioni antitetiche con il Credo. Un esempio per tutti: a Barbiana il Clero era proprietario terriero e al religioso spettava amministrare anche questa parte pecuniaria che riconosceva alla Chiesa il 70 per cento di tutta la produzione anche a costo di ridurre alla fame i contadini. Con questo modo di comportarsi aveva creato attorno al suo operato molte critiche visto che la libertà di pensiero non era tra le caratteristiche più gradite ai suoi Superiori. Educatore illuminato, militante che lottava per il suo Credo, obiettore di coscienza; tutto questo lo rendeva ancora più pericoloso perché era uomo di grande cultura in grado di difendere le proprie scelte. La drammaturgia parla di don Lorenzo seguendo le due stagioni della sua breve vita, dapprima a Calenzano in qualità di Cappellano, poi come Priore del disagiato borgo montano di Barbiana datogli come promozione nel grado. In realtà come punizione perché pensava e diceva troppo. Si racconta di lui, si capisce molto del suo pensiero anche attraverso la presenza di persone che vissero vicino a lui, dal fratello medico a illuminati avvocati, da porporati inquisitori a capitalisti che affamavano i dipendenti, dalla colta madre agnostica fino al comunista che lo aiutava anche nella sua missione religiosa. Pur nella sua lunghezza, Vangelo secondo Lorenzo riesce sempre a tenere desta l’attenzione, merito anche di una regia che dà buon ritmo alla narrazione. Molto funzionale la scenografia che si trasforma davanti agli occhi degli spettatori dando vita ad ambienti diversi, ad episodi di una resistenza vissuta sempre da protagonista anche nel momento della morte quando volle vicino a sé i suoi ragazzi perché capissero cosa fosse il distacco dalla vita terrena. Validi tutti gli interpreti compreso i ragazzini che interpretano gli allievi. Agli adulti, a parte Alex Cendron che dà vita senza momenti di protagonismo a Don Milani, l’onere di caricarsi dell’interpretazione di vari personaggi