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Il gabbiano (a) Il gabbiano (a) Hot

Il gabbiano (a)

Cast, Crew, Infos - Teatro

Titolo originale
Čajka
Autore
Anton Pavlovič Čechov (1860 – 1904) nella versione di Danilo Macrì
Interpreti
Elisabetta Pozzi, Stefano Santospago, Roberto Alinghieri, Alice Arcuri, Elsa Bossi, Eva Cambiale, Andrea Nicolini, Roberto Serpi, Francesco Sferrazza Papa, Kabir Tavani, Federico Vanni.
Scene
Catherine Rankl
Musica
Andrea Nicolini
Luci
Marco D’Andrea

Al cospetto de Il gabbiano, scritto da Anton Cechov nel 1895, si rischia di essere soggiogati dal non capire il suo valore, la sua bellezza e considerarlo unicamente come un classico, un compitino svolto con migliore o peggiore risultato dai molti che nel corso degli anni lo hanno portato in scena. Difficilmente capita di essere al suo cospetto e che, grazie alla bravura del regista, non ci si senta intimiditi. 

Era innovativo nel linguaggio e nei contenuti tanto da non essere capito dai suoi contemporanei con il pubblico della prima che rideva senza ritegno durante tutto il suo sviluppo costringendo Cechov letteralmente a scappare dal teatro. Stesso giudizio negativo da parte dei critici teatrali ma anche di Tolstoj che lo considerò un pessimo dramma scritto a imitazione di Ibsen. Il tempo ha dato ragione all’autore e questo suo scritto è considerato tra i migliori in assoluto della letteratura russa del tempo. Marco Sciaccaluga si è affidato alla traduzione fatta da Danilo Macrì – lui stesso drammaturgo e autore dell’interessante Noi - del testo prima della pesante censura zarista che aveva subito: è un Cechov che in molti non avevano ancora visto. La sua scelta registica è stata di ridurre a due differenti scene la location per tutta la vicenda. Il giardino, il lago sullo sfondo, le atmosfere di una campagna russa benevola che accompagna i personaggi verso lo sviluppo del dramma che ha il suo punto saliente nella seconda parte, dentro la bella casa dell’attrice. Il merito di Sciaccaluga è di avere reso il dramma senza caricarne troppo le tinte, il demerito di non avere creato una struttura che emozioni davvero, in cui i personaggi riescano ad amalgamarsi. Soprattutto alcune figure minori sono raccontate in maniera tale da non essere utili per l’economia dello spettacolo, soprattutto le donne che hanno poca visibilità. La bravura degli interpreti è fuori discussione, con Andrea Nicolini che dona al maestro un’umanità notevole, lo fa conoscere come insoddisfatto, infelice e frustrato nei confronti di tutti gli altri perché si ritiene uno sfortunato, una persona a cui il fato ha chiesto e continua a chiedere troppe prove. Nel fratello dell’attrice c’è anche una forte componente autobiografica del drammaturgo che gli fa vivere i drammi ed i disagi di una malattia che lo portò ancora giovane alla morte; Federico Vanni ha i tempi giusti, mai carica troppo lo sconquasso di una persona che combatte con la malattia per potere essere attivo, vivo fino alla morte. Il figlio dell’attrice ha il volto e la recitazione del trentunenne Francesco Sferrazza Papa, qui alla sua più importante prova, che recita con vigore, anche fisicamente ma non riesce a donare la psicologia di un personaggio complesso che risulta irrisolto. Ad Andrea Nicolini, medico del paese che ha girato il mondo, spetta il compito di omaggiare Genova con le parole scritte da Cechov, parole che fanno intravvedere una vita intellettuale, sociale che ormai non le appartiene più. Elisabetta Pozzi rende con ironia la figura della Diva, quando esistevano interpreti (e personaggi) del livello di Adelaide Ristori o Eleonora Duse. È una donna ricca, viziata, non necessariamente felice, fallita come moglie e madre, si accompagna a noto scrittore che sta con lei perché incapace di lasciarla. La sua recitazione è un alternarsi tra i toni della persona vera e quella sempre abituata a fingere. Stefano Santospago è invidiato dal figlio della donna perché coi suoi scritti privi di modernità riesce ad essere ricco e famoso mentre per lui che tenta di imporsi nel mondo della letteratura e della drammaturgia c’è solo compatimento. Non ama il suo mestiere, la maledizione di dovere continuamente prendere appunti perché ogni cosa potrebbe essere utile come base per un racconto o un romanzo: il suo sogno sarebbe di stare tutto il giorno in riva al lago, in attesa di un pesce che abbocchi al suo amo. Dona spessore al vacuo scrittore, insoddisfatto ed incapace di prendere decisioni, che vive come non vorrebbe ma che non sa affrontare eventuali suoi sogni o desideri in maniera composita.
Del resto, tutto Il gabbiano, all’interno di questo modo di raccontare di teatro nel teatro, è abitato di persone infelici, ognuna con frustrazioni e l’impossibilità di vivere secondo i propri sogni. Ed il dramma è proprio lì, nel non essere mai protagonisti della propria vita.

 

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Il gabbiano (a)
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opinioni autore

 
Il gabbiano (a) 2019-03-03 11:41:37 Umberto Rossi
Giudizio complessivo 
 
7.0
Opinione inserita da Umberto Rossi    03 Marzo, 2019
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