Don Giovanni è uno dei personaggi fondamentali della letteratura europea. A lui sono stati dedicati testi teatrali, volumi, balletti. Il famoso commediografo francese Jean-Baptiste Poquelin (1622 – 1673), in arte Molière, gli dedicò una commedia tragica in cinque anni, Don Giovanni o Il Convitato di pietra (Dom Juan ou Le Festin de pierre), che fu rappresentata la prima volta al Palais-Royal il 15 febbraio 1665, dalla Troupe de Monsieur, frère unique du Roi (La compagna del Signore fratello unico di re Luigi XIV).
Per il testo a stampa bisognò attendere il 1683 quando si ebbe la pubblicazione ad Amsterdam, l’anno prima ci fu un’edizione in Francia, ma con gravi tagli di censura. Inviso, sin dall’inizio, a clero e benpensanti il personaggio fu ripreso nel 1787 da Wolfgang Amadeus Mozart (1756 – 1791), su libretto di Lorenzo Da Ponte (1749 – 1838). È ora la volta di Valerio Binasco che riprende in mano il copione con una lettura che tende a esaltare il carattere negativo, ma modernissimo, del protagonista. Don Giovanni diventa così l’archetipo dell’uomo moderno, scettico, e preoccupato solo del proprio interesse. Il suo confronto con il servo Sganarello, non meno opportunista, assume i toni di uno sguardo disilluso sul mondo e la morale in un’epoca in cui ciò che conta è solo l’interesse personale. Non si tratta, come è il caso di Mozart, di prendere di petto la modernità, bensì di andar oltre il rinnovamento per calarsi in un universo in cui la società è totalmente annullata e ove non esiste più alcun legame sociale fra gli esseri umani. In questo Gianluca Gobbi, nel ruolo di cartello, asseconda la linea del regista caricando il personaggio di una cattiveria che sfocia in una terribile modernità.