Vincenzo Cerami (1940 – 2013), scrittore e sceneggiatore, pubblicò Un borghese piccolo, piccolo, sua opera prima, nel 1977. L’anno dopo Mario Monicelli trasferì il libro in un film di successo che molti considerano come l’ultima voce della commedia italiana vecchia maniera e primo esempio di una nuova versione di questo genere in cui dominavano la delusione e l’orrore per la società che si stava formando.
Fabrizio Coniglio, in veste di adattatore e regista, ha realizzato una nuova versione del testo affidandone l’interpretazione a Massimo Dapporto. La maggiore insoddisfazione viene proprio dal modo in cui è disegnato il protagonista che, non solo non ha la duttilità di Alberto Sordi, ma vira il personaggio più sulla malinconia che non sulla ferocia. Laddove il Giovanni Vivaldi cinematografico prefigurava la cattiveria con cui la borghesia si apprestava a costruite un tessuto sociale intrecciato di violenza ed egoismo, quello teatrale si presenta come un poveruomo a cui uccidono il figlio, casualmente, proprio nel momento in cui sta per raggiungere la meta della vita (la partecipazione, truccata, ad un concorso statale). In questo modo la sua vendetta nei confronti nel bandito che gli ha ammazzato il pargolo diventa un momento blandamente accessorio e, non a caso, il regista ne sfuma i toni quasi sino a ridurlo a fatto banale. In altre parole, il testo perde gran parte del valore profetico che aveva il film per trasformarsi nel ritratto di una solitudine personale del tutto separata dalla quieta violenza di cui si è nutrita la Storia di quegli anni in cui il terrorismo brigatista insanguinava le strade.