Finale di partita è un copione di un solo atto scritto da Samuel Beckett (1906 – 1989) nel 1955-57. Fu concepito in francese con il titolo Fin de partie e lo stesso autore ne patrocinò una versione in inglese, intitolata Endgame che fu messa in scena il 3 aprile 1957 al Royal Court Theatre di Londra.
La prima versione italiana è della stagione 1958-1959, al Teatro dei Satiri di Roma, da parte della Compagnia dei giovani (Giorgio De Lullo, Rossella Falk, Romolo Valli, Elsa Albani, Anna Maria Guarnieri). Ora Glauco Mauri - 88 anni, il maggior veterano del nostro teatro classico – riprende questo testo assieme al sodale Roberto Sturno a cui si aggiungono, per l’occasione, Marcella Favilla e Mauro Mandolini. Il titolo che nasce dal gioco degli scacchi di cui il teatrante era appassionato e fa parte del cosiddetto teatro dell’assurdo. La trama è, a dir poco, banale. In un mondo in cui tutto è stato distrutto (all’epoca si parlava di guerra atomica, oggi si potrebbe ipotizzare un mondo che l’uomo ha annientato) Hamm, un anziano cieco, incapace di reggersi in piedi, passa le ore con il servo Clov. I due trascinano le loro esistenze in una casetta in riva al mare, nonostante che all'esterno non esista più nulla. Hanno passato anni a litigare e continuano a farlo durante lo svolgimento dell'opera. Il servo vorrebbe continuamente andarsene, ma non sembra esserne capace. In scena sono presenti anche i due vecchissimi genitori di Hamm, Nagg e Nell, privi di gambe che vivono in cassoni da cui emergono solo per chiedere cibo o raccontare passati ricordi. È il quadro di una disperazione profonda e priva di scampo. Nel caso della proposta del Teatro Nazionale di Genova, ma la produzione è della compagnia Mauri – Sturno, ciò che conta è il piacere di ascoltare ancora una volta uno dei maggiori attrori di quel teatro classico i cui protagonisti sono ormai quasi tutti scomparsi. Un testo pochissimo rielaborato e un interprete magistrale.
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