Un uomo di nazionalità imprecisata (forse francese, forse italiana), arrivato in una altrettanto imprecisata città del Nord Africa (forse in Tunisia, forse in Marocco), incontra una ragazza che osserva le onde arrossate dal tramonto.
Si parlano e a questo primo contatto ne seguono altri, sempre in una lingua che li attrae e li allontana, fino a un epilogo in cui i rispettivi mondi si scontrano con tutta la violenza che cova in quel crogiolo di tensioni che è oggi il Mare Nostrum. Dramma fascinosamente allegorico, già vincitore del Premio Riccione nel 2013, Ritratto di donna araba che guarda il mare di Davide Carnevali ricompone narrativamente la crisi del Mediterraneo in spiazzanti istantanee teatrali che racchiudono in sé il conflitto tra sensibilità e culture così distanti eppure così vicine. Del forte ed efficace spettacolo che da esso ha tratto Claudio Autelli, direttore artistico di LAB121, colpiscono soprattutto due elementi, di fatto strettamente legati tra loro. Il primo è l’atmosfera: raccolta, misteriosa, tesa, sempre più inquietante con l’inasprirsi degli scontri verbali tra i protagonisti. Il secondo è il raffinato lavoro di messinscena attraverso cui l’ambientazione urbana maghrebina sfondo della vicenda viene trasfigurata in uno spazio scenico tanto enigmatico e minaccioso quanto ambigua e tagliente è la parola drammaturgica. Abile nell’esaltare il testo, la regia spinge lo spettatore in una specie di bolla dalle superfici sfumate nella quale il gioco di luci e l’intelligente ricorso a una videocamera fa avanzare la rappresentazione per strappi improvvisi e morbide dissolvenze, verso un finale di sangue facilmente prevedibile. Al resto contribuisce la buona prova dei quattro interpreti, capaci di restituire con una recitazione al contempo asciutta e appassionata la complessità dei quattro protagonisti di questa torbida tragedia sulle rive di un Mediterraneo che ha la consistenza di un pericoloso miraggio.