L’angelo di Kobane dell’inglese Henry Naylor (1966) nasce da una figura che appartiene in parte alla leggenda. Nell’agosto dello scorso anno un blog che sostiene la battaglia dei curdi a Kobane pubblica una foto di una combattente chiamata Rehana, una giovane ragazza bionda che si dice abbia ucciso più di cento militanti dall’Isis.
Da quel momento quell’immagine è ripresa da centinaia di siti e diventa una sorta di simbolo della resistenza di quel popolo che si oppone a turchi, irakeni e siriani e, prima ancora, ai soldati dell’Unione Sovietica. Nell’ottobre dello stesso anno circola l’immagine di una donna decapitata che si sostiene essere la combattente curda. Non si sono altre prove dell’esistenza di questa donna e il giornalista svedese Carl Drott, l’unico ad averle parlato seppure brevemente, sostiene che non era affatto una soldatessa di prima linea e che è improbale abbia ucciso così tanti nemici. Tuttavia, come diceva John Ford in L'uomo che uccise Liberty Valance (The Man Who Shot Liberty Valance, 1962) se la verità contrasta con la leggenda, stampate la leggenda. Ecco allora il commediografo inglese costruire un lungo monologo su questo personaggio immaginandone la gioventù, la cattura e la fuga dagli uomini del califfo nero e il martirio durante l’assedio della cittadina siriana. Anna Della Rosa dà vita magnificamente a questa performance per attrice solista trasformando una figura su cui non esistono molte certezze nel simbolo di un popolo oppresso e nella rivolta degli umili contro i massacratori islamici. Ne nasce un testo rigorosamente schierato, ma non privo – soprattutto grazie all’interprete – di poesia e di pathos. Una proposta che ha chiuso assai bene la Rassegna di Drammaturgia Contemporanea.