Nel 1969 Rainer Werner Fassbinder (1945 -1982) prese spunto da La bottega del caffè, scritta da Carlo Goldoni (1707 -1793) nel 1750 per una sua versione personalissima del testo. Sono gli anni della contestazione studentesca e il regista bavarese propone i classici in versioni contaminate dal musical e il cinema, oltre che dalla ricerca di temi cari ai movimenti di protesta.
Nel caso specifico a modernizzare l’opera sono l’uso di una canzone (peraltro coerente con quanto previsto dallo stesso autore in forma di intermezzo composto nel 1736) e il continuo riferimento al potere del denaro. La scena, debitamente stilizzata, è quella dalla caffetteria di Rodolfo sita in una piazza di Venezia su cui si affacciano una bisca e un barbiere. Qui s’incontrano, sin dalla prime luci dell’alba, giocatori impenitenti e sfortunati, donne di vita, biscazzieri, traffichini vari. Tutti ruotano attorno alla casa da gioco e all’esercizio commerciale. La maggiore trovata è quella di far declinare agli attori, ogni qualvolta si parla di denaro, il valore degli zecchini anche in termini di dollari, sterline e euro. Il tema del denaro è forte quasi quanto quello del pettegolezzo e della sopraffazione sociale. In altre parole le proposte di Rainer Werner Fassbinder e della regista mirano, riuscendoci, ad attualizzare il testo esaltando non sole gli ovvi riferimenti autobiografici (Carlo Goldoni era un giocatore compulsivo e impenitente), ma anche a farne emergere con forza le caratteristiche sociali. Dati che sembravano affondare nel tempo, ma che le trasformazioni sociali dei giorni in cui viviamo hanno fatto emergere con forza, irrobustite di nuova attualità. Una boccata d’aria pura per chi ha subito in passato proposte paludate e letterali delle opere di questo maestro del teatro.