Un palcoscenico immerso nel buio, un ampio letto che morbidamente avanza verso la platea, la luce di un riflettore che illumina un volto emaciato. I primi disorientanti secondi di Amletto, nuova produzione del Teatro della Tosse, introducono lo spettatore in una dimensione sospesa tra realtà e illusione, in un piccolo, compresso universo altro che, via via, la voce dell’unico protagonista in scena (Enrico Campanati) crea e modifica di fronte al pubblico.
È questi, apprendiamo, un attore smemorato, perso nei meandri dell’arte effimera a cui ha voluto (incautamente?) consacrarsi. A pochi passi dalle lenzuola sfatte – pronte perché qualcuno vi esali sopra l’ultimo respiro – egli tenta di ricostruire il puzzle della propria esistenza saltando tra i personaggi dell’Amleto di William Shakespeare. Un po’ ammaccato principe di Danimarca e un po’ malinconico uomo del sottosuolo (il registratore che compare in alcuni passaggi rimanda inevitabilmente a L’ultimo nastro di Krapp di Samuel Beckett), il misterioso teatrante in cerca di sé è una figura multiforme, scissa, spezzata come la catena dei suoi ricordi. Nel dargli corpo l’attore mette da parte ogni tentazione istrionica e trova una misura recitativa ammirevole che gli consente di cesellare con piccoli tocchi le condizioni mutevoli di un eroe tragico smarrito nella tradizione, di un artista prigioniero di un’impasse senza via d’uscita, di un investigatore del proprio inconscio e infine di un osservatore divertito dei propri affanni. Vero centro nevralgico dell’atto unico, la sua performance riesce a rappresentare, a incarnare magnificamente quello che è il tema portante del testo ideato con intelligenza inquieta dal regista Emanuele Conte: l’annullamento della distanza tra interprete e personaggio, tra arte e destino, tra verità e artificio, tra passato e presente, tra speranza e autoinganno. Ne scaturisce una suggestiva e ironica riflessione sulla vita e dunque sul teatro, visto al contempo come comodo rifugio e pesante condanna, come dono prezioso e irreversibile incantesimo. Spettacolo da non perdere.