Manhattan, giorni nostri. Amir Kapoor (Hossein Taheri) è un ambizioso avvocato dalle camicie costose e un debole per il whiskey di marca. Sposato con una altrettanto ambiziosa pittrice (Lisa Galantini) affascinata dall’arte araba, vive protetto da soldi e reputazione in una bolla alto-borghese, dalla quale ha scientemente escluso famiglia e origini pakistane.
Il precario equilibrio della sua esistenza salta nel momento in cui un nipote (Lorenzo De Moor) con frequentazioni pericolose lo spinge a interessarsi al caso di un imam accusato di legami con il terrorismo. Puntuale, un ambiguo articolo di giornale innesca la rapida serie di eventi, l’implacabile reazione a catena che, durante una disastrosa cena in compagnia di una coppia di amici (Francesco Villano e Saba Anglana), porterà dritta allo smascheramento e all’umiliazione. Vincitore del Premio Pulitzer nel 2013, Disgraced di Ayad Akhtar è un testo potente, profondamente radicato nella migliore tradizione drammaturgica degli Stati Uniti e al contempo capace di affrontare con intelligenza alcuni dei principali temi (la questione identitaria, la paura del diverso, l’islamofobia, la paranoia dovuta alla costante minaccia terroristica) che occupano stabilmente il dibattito pubblico in tutto il mondo occidentale contemporaneo. Jacopo Gassman, nella doppia veste di traduttore e regista, ne ha tratto uno spettacolo dal ritmo teso e dalla messinscena precisa, sostenuto da interpretazioni più che convincenti (molto bravi, in particolare, Taheri e Villano). In questa nuova co-produzione di Teatro della Tosse e Teatro di Roma, si parla di oggi, di adesso. Come hanno dimostrato anche recentissimi fatti di cronaca, quelle americane sono spesso storie di gloriose ascese e clamorose cadute. Nel grande tritacarne della società statunitense, ipocrisia e puritanesimo si intrecciano dando vita a una combinazione perversa che conduce a una resa dei conti tanto inevitabile quanto spietata, alla crocifissione pubblica e al conseguente annichilimento dell’individuo al centro della sarabanda mediatica. Inseguito da peccati e paure, l’homo americanus – o chi, come in questo caso, cerca di esserlo agli occhi altrui – prima o poi inciampa, portandosi dietro segreti e illusioni, e compromettendo la legittimazione sociale ottenuta con sangue e sudore. Il personaggio di Amir Kapoor non è che l’ultimo di un’infinita galleria di uomini vittime dei propri demoni e del proprio tempo. La sua caduta è una tragedia che si ripete sempre sostanzialmente uguale a se stessa, scuotendo le maschere sociali e le cattive coscienze di chi vi assiste da lontano.