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Svet – La luce splende nelle tenebre  ····

Image Lev Nikolaevič Tolstoj iniziò a scrivere Svet – La luce splende nelle tenebre nel 1896, ma il testo non era ancora finito nel 1910, alla morte dello scrittore. Del quinto atto, in particolare, c’è giunta solo una bozza, per questo Marco Sciaccaluga e Danilo Macrì, nel preparare l’adattamento e la messa in scena di quest’opera, hanno dovuto farsi carico d’alcuni interventi di completamento e aggiustamento dei materiali di cui disponevano. N’è nato uno spettacolo vivo e interessante che rende molto attuale quello che è il cuore del copione, un centro non facile da maneggiare tenuto conto delle forti venature autobiografiche che contiene e dell’intento dello scrittore di farne un'opera più didascalica che poetica.

E’ noto che il grande scrittore russo aveva intrapreso, in particolare negli ultimi anni di vita, un percorso religioso che lo aveva portato ad un’applicazione ossessiva e fanatica delle parole del Vangelo, la negazione del ruolo d’intermediazione fra Dio e l’uomo della chiesa, la ricerca di un’immediata fratellanza fra gli esseri viventi. Queste idee gli attirarono l’attenzione della polizia zarista e le ritroviamo intatte in Nikolaj Ivanovič Saryncev, proprietario terriero d’origini nobiliari, come lo era lo scrittore, che decide di spogliarsi di tutto e darlo ai contadini per ottemperare alle regole evangeliche. La cosa getta nel caos la sua famiglia, in particolare la moglie, madre di sette figli, che deve fare fronte ogni giorno alle esigenze materiali della vita, mentre il marito appare sempre più perso nel suo sogno mistico. Il finale sarà tragico con l’uccisione del sognatore da parte della madre di un suo discepolo, finito a morire in un manicomio. Già da queste poche righe è possibile intuire i succhi modernissimi che la regia ha tratto dal testo: riflessione profonda sui guasti dell’estremismo insensato, impotenza e viltà sostanziale dell’intellettuale assoluto, invito alla considerazione del legame che collega la nostra vita alle piaghe che affiggono il mondo meno fortunato. La scelta scenografica usa uno spazio sostanzialmente unico, un fitto bosco di betulle, invaso, di volta in volta, da pochi arredi scenici a simboleggiare i diversi luoghi in cui la vicenda si svolge. Il complesso degli interpreti, moltissimi dei quali giovani provenienti dalla Scuola dello Stabile, si amalgama assai bene con i due ruoli principali a cui danno voce e forza Orietta Notari e Vittorio Franceschi.E’ noto che il grande scrittore russo aveva intrapreso, in particolare negli ultimi anni di vita, un percorso religioso che lo aveva portato ad un’applicazione ossessiva e fanatica delle parole del Vangelo, la negazione del ruolo d’intermediazione fra Dio e l’uomo della chiesa, la ricerca di un’immediata fratellanza fra gli esseri viventi. Queste idee gli attirarono l’attenzione della polizia zarista e le ritroviamo intatte in Nikolaj Ivanovič Saryncev, proprietario terriero d’origini nobiliari, come lo era lo scrittore, che decide di spogliarsi di tutto e darlo ai contadini per ottemperare alle regole evangeliche. La cosa getta nel caos la sua famiglia, in particolare la moglie, madre di sette figli, che deve fare fronte ogni giorno alle esigenze materiali della vita, mentre il marito appare sempre più perso nel suo sogno mistico. Il finale sarà tragico con l’uccisione del sognatore da parte della madre di un suo discepolo, finito a morire in un manicomio. Già da queste poche righe è possibile intuire i succhi modernissimi che la regia ha tratto dal testo: riflessione profonda sui guasti dell’estremismo insensato, impotenza e viltà sostanziale dell’intellettuale assoluto, invito alla considerazione del legame che collega la nostra vita alle piaghe che affiggono il mondo meno fortunato. La scelta scenografica usa uno spazio sostanzialmente unico, un fitto bosco di betulle, invaso, di volta in volta, da pochi arredi scenici a simboleggiare i diversi luoghi in cui la vicenda si svolge. Il complesso degli interpreti, moltissimi dei quali giovani provenienti dalla Scuola dello Stabile, si amalgama assai bene con i due ruoli principali a cui danno voce e forza Orietta Notari e Vittorio Franceschi.

valutazione: 1 2 3 4 5

Testo: Lev Nikolaevič Tolstoj (1828 - 1910); versione italiana: Danilo Macrì; regia: Marco Sciaccaluga; scene: Jean-Marc Stehlé; costumi: Catherine Rankl; musiche: Andrea Nicolini; luci: Sandro Sussi; interpreti: Vittorio Franceschi, Alice Arcuri,  Fiammetta Bellone, Massimo Cagnina, Fabrizio Careddu, Lisa Galantini,  Gianluca Gobbi, Maurizio Lastrico, Orietta Notari, Flavio Parenti, Stefania Pascali, Fiorenza Pieri, Vito Saccinto, Federico Vanni, Pier Luigi Pasino, Desirè Tesoro, Maurizio Taverna, Fabrizio Montalto, Diego Paoli. 

 

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