Fine dell’Europa, scritto e diretto dall’argentino Rafael Spregelburd, è un lungo collage (oltre quattro ore di spettacolo) di otto episodi legati alla dissoluzione - a volte ironica, a volte tragica - di qualche cosa. Si parte dalla fine dei confini delle nazioni, si muove verso la terminazione dell’arte, la nobiltà, la storia, la sanità, la famiglia per approdare a quella dell’Europa.
Come spesso capita in casi come questo non tutte le parti rifulgono della medesima luce. In alcuni casi (la fine della famiglia, la fine della sanità) il materiale appare meglio amalgamato o il taglio narrativo più organizzato, in altri (la fine dell’arte, la fine della realtà) la proposta appare non ben definita o parzialmente oscura. Pecche trascurabili per uno spettacolo complessivamente molto originale e ambizioso. Il regista getta uno sguardo inquieto e disperato sulla nostra realtà, vista come coacervo di elementi incomprensibili e, spesso, insensati. Ne nasce un quadro illogico e a tratti surreale di un mondo in cui si mescolano e alternano, senza interruzioni di continuità, odi e amori, rabbia e tenerezza. Un universo in cui coesiste tutto e il contrario di tutto dando vita ad un quadro caotico e terribile in cui anche la salute è fonte di concorsi a punti e il lutto per la scomparsa di un genitore diventa occasione per furiosi scontri economici. Se proprio si volesse trovare un difetto nella proposta lo si potrebbe individuare nella scarsa omogeneità fra le varie parti e sull’uso troppo facile del video qui adottato più come puro e semplice ingrediente scenico che non come strumento di narrazione autonoma. In definitiva un ottimo inizio di stagione per lo Stabile di Genova.