Eduardo De Filippo (1900 – 1984) scrisse e rappresentò Non ti pago nel 1940. La commedia ebbe un successo di pubblico immediato, tanto da essere trasferita sul grande schermo due anni dopo a firma di Carlo Ludovico Bragaglia (1894 – 1998).
Si deve proprio a questa edizione cinematografica l’invenzione della maledizione di quattro milioni di disgrazie che segna la seconda parte del testo. La storia è nota: il titolare di un banco lotto e accanito, sfortunato giocatore prova una indicibile invidia per un suo dipendente che, al contrario, inanella una vincida dopo l’altra e vorrebbe sposare la sua figlia. Quando il commesso ottiene un premio colossale (4 milioni di lire, qualche cosa come 2 milioni e 300 mila euro di oggi) con numeri che gli sono stati suggeriti in sogno dal padre del principale, quest’ultimo sostiene che la vincita è sua e non del dipendente che aveva giocato. La storia si complica con l’inserimento di avvocati e religiosi che tentano invano di far ragionale il gestore del banco lotto che, nel frattempo, si è impadronito del prezioso tagliando che legittima il premio. Alla fine il proprietario dell’esercizio cederà alla logica e alla legge, ma scaglierà una terribile maledizione contro il fortunato vincitore che, da lì a pochi giorni ritornerà della ex – principale pregandolo di riprendersi il biglietto che certifica la vincita in quanto non è riuscito ad incassare neppure una lira e, in compenso, è stato bersagliato da cadute, furti e incidenti vari. E’ un testo in cui il ruolo degli attori ha un peso preponderante e non a caso sia l’autore sia suo figlio Luca (1948 -2015), prematuramente scomparso, sono riusciti a far emergere il mix di comicità e malinconia su cui è costruito il personaggio principale. Nella figura di Ferdinando Quagliuolo convergono, infatti, sia la macchietta, sia il dolore dell’uomo amareggiato dalla scarsa considerazione in cui è tenuto nella famiglia. Non basta il pistolotto con cui si chiude lo spettacolo, ora proposto sulla falsariga della vecchia regia di Luca De Filippo, a recuperare questo equilibrio se manca la capacità attoriale di far rivivere quella formula quasi magica.