In occasione del decennale della scomparsa di Emanuele Luzzati, è tornato sul palcoscenico del suo Teatro della Tosse Candido, ispirato all’omonimo racconto filosofico scritto nel 1759 da François-Marie Arouet, in arte Voltaire (1694 – 1778). Proprio i disegni realizzati dal grande scenografo e illustratore genovese per il Candide musicale di Leonard Bernstein sono la solida base di una messinscena agile, armoniosa e visivamente molto suggestiva, retta da un cast ammirevolmente affiatato.
L’adattamento, firmato dal regista Emanuele Conte insieme al padre Tonino, alleggerisce il carico di personaggi e situazioni del testo, pur mantenendone inalterati tanto i passaggi più importanti e celebri quanto l’umorismo stralunato e la corrosiva forza satirica, riconducibile, quest’ultima, all’accesissima polemica dello scrittore illuminista contro la filosofia leibniziana. Lo stesso Voltaire (Enrico Campanati) è in scena a far da imparruccato narratore, mentre i fatti che hanno dato il la alle peregrinazioni di Candido (Pietro Fabbri) vengono risolti con una gustosa rappresentazione di marionette. La regia tiene alto il ritmo e riesce a rendere, grazie a semplici ma precise ed efficaci soluzioni scenotecniche, il vorticoso e spesso macabro susseguirsi di incontri, incidenti e morti, puntualmente intramezzato dalle ironiche irruzioni di sfuggenti figure femminili. Candido, ragazzo ingenuo cresciuto con le rassicuranti e ottimistiche teorizzazioni filosofiche del precettore Pangloss, abbandona la Vestfalia a causa dei perfidi Bulgari e della guerra Arriva a Lisbona a seguito di una terribile tempesta, e da lì viaggia fino al Sudamerica e all’El Dorado, perdendo ogni volta la bella Cunegonda (Sarah Pesca), amore di una vita. L’inevitabile conclusione del suo tormentato viaggio coincide con uno strappo drammatico, con la consapevolezza più dolorosa: sepolti giovinezza, sogni e utopie, non resta che richiudersi e dedicarsi al proprio giardino. E’ questa la morale inopinatamente amara e spiazzante di un testo e di uno spettacolo che sintetizzano in maniera a dir poco esemplare l’insieme di intelligenza acuminata, ironia giocosa e gusto quasi infantile per l’artificio che da sempre caratterizza il lavoro dei Conte e del Teatro della Tosse.