Nicolò Bacigalupo (1837 – 1904) scrisse I manezzi pe majâ na figgia nel 1880. Il testo fu messo in scena, ampiamente rimaneggiato, da Gilberto Govi nel 1923, prima rappresentazione al Teatro Filodrammatici di Milano. Da quel momento diventò uno dei cavalli di battaglia dell’attore assieme a Pignasecca e Pignaverde, ispirato alla poesia I doî avari (I due avari) di Martin Piaggio (1774 – 1843), e a Colpi di timone che Gennaro Righelli (1886 – 1949), portò sul grande schermo nel 1942, interprete lo stesso Gilberto Govi.
Jurij Ferrini ha avuto l’idea di resuscitare sia Colpi di timone, sia, ora, I manezzi pe majâ na figgia. Un’idea interessante, ma che doveva far i conti con almeno due ostacoli. Il primo, ampiamente suberato, riguarda la mimica dell’attore originale alcune delle cui scene sono entrate nelle cronache del teatro, come quella dei bottoni spaiati o della diffidenza nei confronti delle donne. La seconda coinvolge l’uso del dialetto. E’ vero che lo stesso Gilberto Govi aveva notevolmente italianizzato il linguaggio sia in vista delle tournée della compagnia sia della realizzazione dei film, ma il suo lavoro restava sempre saldamente legato al genovese, quanto meno per il ritmo degli intercalari, la cosiddetta cocina, e per l‘utilizzo di frasi e parole tipiche di questo dialetto. Su questo versante l’attore e regista ovadese non ha ottenuto buoni risultati, trasferendo nell’italiano più piatto sia il modo di parlare sia la denominazione di alcune cose. Nel caso in questione non lo aiutano i membri di una compagnia che, oltre una certa inesperienza, Orietta Notari esclusa, sembrano alle prese con un dialogare che non conoscono e, cosa particolarmente negativa, del quale non sanno cogliere le sfumature. In poche parole una proposta inadeguata e poco interessante.
