Pino Petruzzelli è, con Marco Paolini, il maggior narratore ospitato dalle scene italiane. Spettacolo dopo spettacolo le strade di questi due autori – attori si stanno avvicinando nel senso che le partenze d’impronta social - cronachistica sono progressivamente sostituite da una vena fantastica che muove dall’osservazione del reale, ma se ne libera avvicinandosi ad un universo poetico di grande spessore.
La prova è ne Il ragazzo che amava gli alberi in cui questo teatrante ripercorre, via via verso una sempre più accentuata astrazione, il rapporto fra un insegnante e una ragazzo marocchino bravissimo nella narrazione, ma pessimo in tutte le altre materie. Rachid non ha neppure sedici anni e ogni giorno, prima di andare a scuola, va a lavorare al mercato del pesce ed è questa la ragione per cui dorme in classe, reclinato sul banco o sdraiato sul pavimento in fondo all’aula. L’unica cosa che attira il suo interesse sono gli alberi, che non ha mai visto in quantità così copiosa prima di arrivare in Italia e di cui, grazie a un libro che il professore gli regala, conosce nomi e caratteristiche. Il monologo, intriso di una tensione forte e magica, è proposto dell’autore – regista come una sorta di autoconfessione di un doloroso fallimento: alla fine del racconto i due si perdono di vista per colpa del disinteresse dell’insegnate che non fa seguire alle parole un vero, costante interesse. Un’ammissione di incapacità (impossibilità?) di intervenire realmente nel dramma dell’immigrazione clandestina: una delle prime cose che il padre del ragazzo chiede al professore è un aiuto nel disbrigo delle pratiche burocratiche indispensabili ad avere le carte. E’ un testo dall’apparenza semplice, in realtà complesso in cui si mettono sul tavolo molti temi. Oltre a quello dei migranti c’è il discorso sul rapporto fra allievi e docenti, la denuncia dell’indifferenza – impotenza del sistema scolastico (il preside perennemente indaffarato in qualche altra cosa, gli insegnati che non accettano di farsi carico delle reali condizioni dell’alunno), la contrapposizione fra la bellezza della natura e la disumanità della modernità. Sono moltissimi gli argomenti che questo teatrante mette in campo, prelevandoli dalla vasta gamma delle sue passioni: da Mario Rigoni Stern, alla poesia dei Edoardo Sanguineti, al fascino della natura. Un’ultima cosa: le melodie che aprono e chiudono lo spettacolo sono cantate da una soprano norvegese e conferiscono una spruzzata positiva di mistero in più a uno spettacolo bello e avvincente.
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