Jean-Baptiste Poquelin detto Molière (1622 – 1673) è stato un commediografo e attore teatrale francese le cui opere costituiscono uno dei punti cardine della scena mondiale. Dalla sua penna è uscito Il borghese gentiluomo (Le Bourgeois Gentilhomme, 1670) una satira feroce dei borghesi che cercano di elevarsi ai ranghi della nobiltà.
Il tema era particolarmente caro all’aristocrazia e alla corte a cui il drammaturgo era costretto a guardare per sopravvivere nella società del tempo, si pensi al ruolo di deus ex macchina attribuito al re Luigi XIV (1638 – 1715) nella scena finale de Il Tartufo (Le Tartuffe ou l'Imposteur, 1664). Filippo Dini ha preso in mano il copione del 1670 badano ad esaltarne il lato farsesco e mettendo in secondo piano ogni pesante attualizzazione. In quest’ottica l’ossessione del Signor Jourdain, ricco borghese figlio di un commerciante, per l’elevazione di ruolo sociale rimane un quasi pretesto per dare spazio alla comicità e non si collega, se non alla lontana, alla condizione degli attuali arrampicatori sociali. E’ una scelta che giuoca a favore della popolarità dello spettacolo, ma gli toglie spessore come testo che parla anche ai giorni nostri. La scenografia, una villa dagli interni borghesi in restauro o decadente, da questo punto di vista contrasta con la scelta dei costumi più vicini alla rappresentazione pagliaccesca che non a una modernizzazione della proposta. La regia segue con coerenza e professionalità la scelta di privilegiare li farsesco, offrendo allo spettatore uno spettacolo divertente e rutilante, pur se con qualche lunghezza di troppo, ma lontana da una riflessione ragionata valida per l’oggi.