Una coppia di omosessuali decide di avere un figlio e ricorrere alla pratica dell’utero in affitto. Non potendo farlo in Italia, si spostano negli Stati Uniti e qui danno sfogo, anche se a caro prezzo, al loro desiderio di paternità.
Passano gli anni, uno dei due muore e il bimbo, diventato adulto, chiede al superstite ragione della sua nascita in una famiglia considerata irregolare agli occhi della gente normale. Il confronto sfocia in una quasi rissa in cui entrambi i contendenti mettono sul tavolo rancori e sentimenti che covavano da anni. Passa altro tempo e il ragazzo, ormai uomo fatto, ritorna dalla Svizzera, dove ha trovato un modesto lavoro, per assistere a quelli che, forse, sono gli ultimi momenti di vita del genitore superstite. Possibile riconciliazione fra padre e figlio. E’ un copione decisamente confuso e non privo di ambiguità, ad iniziare dalla posizione verso la partica dell’utero in affitto e, cosa particolarmente grave, nei confronti del desiderio di paternità delle coppie omosessuali. Geppetto Geppetto soffre di un'ambiguità di fondo aggravata da un livello di recitazione non proprio sublime. In altre parole un soggetto pasticciato e scarsamente originale in cui il quadro familiare che rappresenta appare del tutto simile alle decine visti e sentiti in altri testi. Del resto il tema della famiglia è uno di quelli che stanno a cuore a Tindaro Granata, autore e regista dello spettacolo, un argomento che ha già affrontato nel suo testo d’esordio Antropolaroid (2010) in cui, partendo da esperienze autobiografiche, riproponeva la storia della sua famiglia.