E’ di certo difficile, per non dire impossibile, negare il fascino di uno spettacolo come Plan B. Sulla carta, la costruzione scenico-teatrale ideata dal francese Aurélien Bory – con la collaborazione in regia dell’americano Phil Soltanoff - non parrebbe nulla di particolarmente temerario.
A occupare la scena, in fondo, sono solo quattro equilibristi e un piano inclinato: poco per dare quel senso di essenzialità spersonalizzante ricercato spesso invano da molti teatranti, ma più che abbastanza per scongiurare l’horror vacui. Di fatto invece, come è accaduto e continua ad accadere anche ad altri simili tentativi di circo europeo contemporaneo, tutto si dimostra più complesso, tanto nelle ambizioni quanto nella resa. Aperto all’influenza di più forme e media, il teatro circense del genialoide artista attivo a Tolosa, sembra volersi proporre soprattutto come linguaggio scenico universale in grado di raggiungere ogni tipo di spettatore, a ogni latitudine. Non ci sono parole nell’ora scarsa che racchiude l’evento, bensì gesti, movimenti, coreografie di volta in volta sinuose come in certo teatro-danza o sconnesse come richiesto dalle necessità buffonesche del clown. E’ il corpo a raccontare, a ricreare storie e situazioni sempre paradossali ed esagerate. I quattro giocolieri-saltimbanchi protagonisti, inizialmente in giacca e cravatta, rappresentano l’uomo contemporaneo costretto a reagire agli imprevisti della vita di ogni giorno con la ricerca di impossibili vie di fuga (i piani B del titolo, appunto). La superficie inclinata al centro del palco, che si alza e abbassa aprendosi in buchi, spiragli e voragini, è il nostro tortuoso presente, dalle cui difficoltà è possibile salvarsi solo con un salto spericolato contro la gravità e verso il sogno. Tra risate e stupore, emerge in tutta chiarezza l’ironica visione di un mondo dominato dalla precarietà e caratterizzato da una tragicomica assenza di punti di riferimento. Davvero notevole.