Ci sono spettacoli impossibili da raccontare senza snocciolare pedissequamente il susseguirsi di tutte le azioni, situazioni e scene cui lo spettatore assiste dalla platea. E’ un elenco, questo, che tuttavia quasi mai riesce a restituire l’inventiva, l’originalità di eventi la cui ricchezza pare essere inversamente proporzionale alla complessità – drammaturgica, registica o coreografica - di ciò che si vede in scena.
Al Cubo, l’ultima sfuggente e buffa creazione della compagnia BettiCombo, rientra sicuramente nell’alveo di simili proposte indescrivibili. A metà tra l’happening e la sequenza di numeri circensi, ha come protagonisti due uomini e una donna. Lo stralunato trio, per tutta la durata dello spettacolo, non fa letteralmente altro che giocare con dei secchi bianchi. Genialmente manipolati, questi strumenti neutri e leggeri occupano il palco, richiamano con il loro candore l’attenzione dello spettatore, finendo così con l’essere non solo il centro di ogni azione, ma lo spettacolo in sé. L’oggetto si fa metafora della precarietà. Ogni tentativo di costruire, di creare forme armoniose e precise è destinato infatti al fallimento. La pila crolla, la colonna si piega, la piramide implode, l’evoluzione si esaurisce al primo refolo d’aria e il secchio stesso, mai del tutto controllabile e domabile, può saltare in mille pezzi come il palloncino di un pagliaccio da quattro soldi. Giocolieri, clown e strimpellatori di ukulele, i bravissimi Ilaria Senter, Francesco Caspani e Fabrizio Rosselli trascinano il pubblico in un universo surreale, dominato dall’errore, dall’imprevisto e da una sorta di tenera, appena percettibile malinconia. Le loro acrobatiche gag restituiscono quel piacere un po’ infantile che è proprio dell’esperienza teatrale, ma che troppo spesso viene negato agli spettatori.