Pier Paolo Pasolini (1922 – 1975) ha scritto Porcile nel 1966, ambientandolo in una tenuta di campagna a Godesberg, nei pressi di Bonn, in Germania. Tre anni dopo lo stesso autore ne trasse un film diviso in due episodi ambientati, il primo, in epoca contemporanea, il secondo nel 1500 e girato sulle pendici dell’Etna. Il tema di entrambe queste storie è i rapporti fra padri e figli e, in particolare, il desiderio dei primi di condizionare i secondi e dei secondi di annientare i genitori respingendone le eredità morali e politiche.
Valerio Binasco ha ripreso in mano quel copione, per la verità fra i non più felici del drammaturgo e cineasta friulano, per uno spettacolo elegante nelle forme, ma ben poco interessante nello sviluppo. La storia è quella del ricco Julian, rampollo di un ricco borghese dal passato nazista, che respinge l’amore dell’impegnata Ida, coinvolta nei movimenti pacifisti dell’epoca, finendo per chiudersi in uno stadio semi-catartico e terminando con l'essere sbranato dai maiali che simboleggiano il mondo borghese che lo circonda. E’ un tema fortemente legato al clima dell’epoca e ai movimenti studenteschi che l’attraversavano. Movimenti a cui P.P.P. ha sempre guardato con più diffidenza che adesione come dimostra sia la poesia su poliziotti e dimostranti, scritta dopo gli scontri di Valle Giulia, sia lo scritto Gli italiani non sono più quelli, comparso su Il corriere della sera il 10 giugno 1974, l’indomani della vittoria del No nel referendum sul il divorzio. Di quelle atmosfere, fortemente connotate socialmente e politicamente, rimane ben poco nella proposta del regista e questo mette in luce in modo impietoso la debolezza di un testo nato in un momento specifico e per ragioni del tutto particolari. Se si aggiunge che la il teatrante inserisce nello spettacolo alcuni spunti ironici, come la caratterizzazione quasi grottesca di genitori e possidenti, si ha il quadro di una proposta condivisibile in misura molto parziale.