L’idea di costruire uno spettacolo sulle figure femminili create da Carlo Goldoni (1707 – 1793) era originale e interessante. Se ne poteva trarre un filo rosso che mettesse assieme l’intraprendenza borghese, al limite del femminismo, di Mirandolina de La locandiera (1753) alle vacue protagoniste de La trilogia della villeggiatura (1761), con la sferzante critica di chi, mancando di ricchezza, vuole condurre ad ogni costo una vita di lussi e agiatezza, alle astuzie, non prive di sottotoni erotici, delle avventuriere disposte a giocare con il proprio corpo pur di guadagnare denaro (L’impresario delle Smirne, 1759) sino all’approccio decisamente farsesco alla figura femminile de La donna di testa debole (1753).
Un percorso che inquadra il drammaturgo veneziano in un itinerario d’ascesa della borghesia, di merito e sostanza, a dispetto di un’aristocrazia sulla via del tramonto. Iula Rossetti, autrice e regista, non ha percorso questa strada sino in fondo preferendo, forse per troppo rispetto nei confronti dei testi di riferimento, collezionare una serie di scene tratte da commedie goldoniane senza legarle a un filo interpretativo preciso, magari arduo, sicuramente apprezzabile. Ne è nato uno spettacolo, Le donne di Goldoni, in cui risalta lo sforzo della compagnia I conviviali d’impegnarsi in una produzione di buona dimensione, economica e scenografica, ma ancora lontana da quel taglio innovativo, magari dissacrante, che era lecito attendersi da un complesso teatrale svincolato dai lacci del teatro professionale. In altre parole, una volta apprezzato lo sforzo realizzativo, rimane la delusione per un approccio non molto dissimile da quello proposto dal teatro più tradizionale.