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Il Macello di Giobbe (1) Il Macello di Giobbe (1) Hot

Il Macello di Giobbe (1)

Cast, Crew, Infos - Teatro

Titolo originale
Il Macello di Giobbe
Autore
Fausto Paravidino
Interpreti
Filippo Dini, Fausto Paravidino, Emmanuele Aita, Iris Fusetti, Ippolita Baldini, Aram Kian, Federico Brugnone, Monica Samassa, Barbara Ronchi.

Scene
Guido Bertorelli, Marco Guarrera
Luci
Pasquale Mari
Compagnia
Teatro Valle Occupato – Fondazione Teatro Valle Bene Comune, Fondazione Luzzati – Teatro della Tosse.

La figura di Giobbe è quella che forse più di ogni altra si presta a rendere metaforicamente la condizione di precarietà dell’uomo e le contraddizioni della vita. La sua è la sofferenza del giusto, cui si contrappone la prosperità del malvagio, impunito e persino premiato per le sue malefatte. Non a caso, nella storia del saggio spogliato di ogni ricchezza da Satana (con l’assenso di Dio) per metterne alla prova la fede, intellettuali e artisti di ogni epoca hanno tratto e continuano a trarre ispirazione per le meditazioni più disparate su un presente di dolore, fatica e disagio.

Fausto Paravidino – qui regista, drammaturgo e co-protagonista nella parte del figlio - si è appropriato della parabola per il suo Il Macello di Giobbe, rielaborandola con smaliziata inventiva e trasportandola nel triste teatrino tragicomico di un oggi senza spiritualità. Dopo un inizio vagamente stoppardiano, con i contorcimenti linguistici di due buffoni rintronati (Aram Kian e Federico Brugnone), inizia la via crucis del protagonista anticotestamentario, tra maschere, pantomime e coreografie. Giobbe (Filippo Dini) è qui un onesto macellaio, padre e marito amorevole, costretto dal crollo del giro d’affari a ricorrere a un prestito. La situazione peggiora ulteriormente, fino all’arrivo dall’America del figlio maschio, il quale si accorda sottobanco con la perfidissima banca per far salvare la macelleria. Il patto prevede il licenziamento sacrificale dell’unico impiegato (un ottimo Emmanuele Aita), innamorato della figlia malata dello stesso Giobbe. Ben presto arriva il crollo definitivo: il garzone scappa, la ragazza impazzisce, la madre (Monica Samassa) si ammala mortalmente e Giobbe, complice la scoperta tardiva delle azioni del proprio erede, smette di essere padre e capofamiglia e si richiude nel dolore e nell’isolamento. Basta uno sguardo rapido alla sinossi per rendersi conto della ricchezza dell’insieme. Si passa dall’ancestrale conflitto tra padri e figli alla ricerca di Dio, dalla critica di un presente dominato dalla speculazione al ritratto di ordinarie crisi familiari. L’autore, in tripla veste, sfodera armi acuminate e – bisogna riconoscerlo – rischia grosso in più passaggi. Biondo per l’occasione, guida dal palco, con foga e movimenti scattanti, un cast unito, disposto a ogni sacrificio. Il drammaturgo invece scrive all’ombra di William Shakespeare (1564 -1616), sbozza una famigliola disfunzionale e la circonda di figurine a cui affidare lunghe digressioni semi-cabarettistiche che spezzano i duetti drammatici, gli scontri e i non rari momenti di tenerezza. Allo stesso modo, il regista accumula suggestioni e trovate ad alto voltaggio. Fantasmi mascherati spuntano a ritmo di musica e accelerano il passo, la finanza che distrugge il padre è incarnata da un grosziano maiale grugnente, mentre denaro e successo si presentano al figlio sotto forma di una femmina tentatrice, imparruccata e crudele, da possedere al ritmo implacabile di un coltello che fa a pezzi carne animale. C’è tutto, troppo: l’attacco epilettico, l’amplesso, il Lear barbone che straparla, l’omicidio, la discoteca, il divano, il sangue e l’interno borghese, la lacrima e il marciapiede sporco. Dalla platea, si assiste a uno spettacolo diseguale, stonato, spesso inutilmente ammiccante (specie nella recitazione dei personaggi minori), ma di innegabile ambizione. Il lucido scrittore di Natura morta in un fosso punta alto, crea un bestione teatrale di tre ore, imbottito di tragedia, slapstick, umorismo nero, violenza cieca, odio, amore, disperazione, stupidità, suoni e accenti. I temi sono dichiarati, addirittura urlati attraverso battute didascaliche che rimandano a un teatro antico, in cui la mano della divinità poteva spuntare da sopra le teste degli interpreti, da un momento all’altro, con tutto il suo carico di minaccia oscura. Psicologismo novecentesco e arcaismo si fondono in una messinscena nervosa, che alterna capovolgimenti serrati a rallentamenti improvvisi, fiammate a momenti di stanca, senza omogeneità ed equilibrio. Pare di vedere un adolescente tormentato che riempie con rabbia una sacca profondissima, interrompendosi talvolta per prendere fiato, prima di catapultarsi fuori dalla casa paterna. A risentirne, in particolare, è il personaggio principale interpretato dal pur bravo Filippo Dini che, sballottato tra i vari registri imposti dall’autore, finisce col perdere per strada la sua autentica tragicità, prima di spegnersi su un letto d’ospedale. Gli abitué del Teatro della Tosse lo confronteranno probabilmente con l’indimenticabile Gospodin di Claudio Santamaria, l’antieroe in irrazionale lotta con il mondo consumistico, privo ormai di valori e fede. Lì Giorgio Barberio Corsetti offriva allo spettatore uno spaccato satirico sulfureo e accattivante, costringendolo a fare i conti con una serie di inquietanti paradossi. In questa nuova produzione in prima nazionale a Genova, invece, molto è rimasto sulla carta, imbozzolato nella voglia di stupire e colpire a tutti i costi. Forse, tra qualche anno, verrà ricordata come una tappa necessaria al suo talentuoso ideatore.



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Il Macello di Giobbe (1)
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opinioni autore

 
Il Macello di Giobbe (1) 2016-01-09 16:41:03 Umberto Rossi
Giudizio complessivo 
 
6.0
Opinione inserita da Umberto Rossi    09 Gennaio, 2016
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