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Prometeoedio Prometeoedio Hot

Prometeoedio

Cast, Crew, Infos - Teatro

Titolo originale
Prometeoedio
Autore
Emanuele Conte (da Eschilo)
Interpreti
Gianmaria Martini, Alessia Pellegrino, Enrico Campanati, Andrea Di Casa, Pietro Fabbri.
Luci
Tiziano Scali, Matteo Selis
Compagnia
Fondazione Luzzati – Teatro della Tosse

Il mito di Prometeo ha da sempre attirato poeti, drammaturghi, compositori e artisti figurativi di ogni genere e provenienza. L’elenco, che va dall’Antica Grecia al secondo Novecento, risulta pressoché infinito e vale come compendio di intere filosofie e scuole artistiche occidentali.

Ogni epoca ha avuto i suoi Prometei, si potrebbe dire senza peccare di semplicismo. C’è però un punto che ha accomunato la maggior parte delle libere rielaborazioni succedutesi negli anni: la tendenza a sfruttare simbolicamente il titano e a trasformarne la storia in una straordinaria metafora della ribellione all’ordine. Non deve dunque stupire che Emanuele Conte abbia recuperato una simile ingombrante figura per concludere tra lunghe ombre la Trilogia del Potere del Teatro della Tosse, iniziata con l’Antigone di Jean Anouilh (1910 – 1987) e proseguita, lo scorso anno, con il Caligola di Albert Camus (1913 – 1960). La vicenda, in fondo, conserva a distanza di secoli tutta la forza e tutto il mistero delle leggende arcaiche. Figlio di quel Giapeto citato nella Teogonia di Esiodo come discendente di Urano, Prometeo rubò il fuoco dall’Olimpo e lo donò di nascosto agli uomini, soddisfacendo la loro brama di conoscenza. Zeus, furibondo per l’affronto subito, decise di vendicarsi crudelmente. La punizione fu terribile: incatenato a una rupe, il ladro della scintilla venne condannato a vedersi mangiare il fegato da un’aquila, giorno dopo giorno. Tradendo solo in parte l’iconografia, il regista genovese – qui in doppia veste, avendo firmato anche la riscrittura di Eschilo (525 a.C. – 456 a.C.) – inizia il suo ambizioso e suggestivo Prometeoedio con un protagonista schiacciato contro un’ampia scenografia metallica. Nonostante il violento e improvviso squarcio musicale che fa piombare lo spettatore in un’atmosfera cupa e fuori dal tempo, tutto è pervaso sin dall’inizio da un senso di vuoto, di sospensione, come se tanto in scena quanto in platea si attendesse da un momento all’altro il boato del fulmine o il grido sinistro dell’aquila. Efesto, Bia e Cratos hanno osservato dall’alto, come avvoltoi, per poi essere sostituiti dagli stracci del Coro delle Oceanine (Andrea Di Casa). La tragedia incombe, letteralmente. Non c’è respiro, lo spazio manca di profondità: si possono solo alzare gli occhi al cielo minaccioso. Alla stasi del titano (Gianmaria Martini) corrisponde una curiosa – e vagamente disorientante - dilatazione dei tempi. Ritmi e azioni sono calibrati sugli spasmi e sulla forza d’attrazione di un corpo prigioniero, che è sia cuore di un dramma dilacerante sia parte di un conflitto cosmico contro un Dio onnipotente e cieco. I personaggi che fanno il loro ingresso in questa inospitale anticamera della tragedia si rivolgono infatti a Prometeo, salvo poi eclissarsi di fronte alle sue predizioni o al suo rifiuto di chiedere perdono. Ogni incontro-apparizione si configura così sia come tappa di avvicinamento all’impari scontro risolutivo tra il protagonista e Zeus sia come vano indugio prima del tremendo volo nell’abisso che chiude il Prometeo incatenato (460 a.C. circa). Seguito da un lungo strascico di spuma, Oceano (Pietro Fabbri) offre il suo aiuto e preme per il pentimento, ma viene respinto. Io (l’ottima Alessia Pellegrino), donna trasformata in giovenca, al contrario può solo urlare il proprio strazio di vittima impotente, prima di scoprire che la sua unica ragion d’essere è quella di dare vita a colui che in un futuro nebuloso libererà il condannato dalla punizione divina. Ermes (Enrico Campanati), burocrate dell’Olimpo, tenta infine l’estrema mediazione, andando anch’egli incontro a un fallimento del quale il pubblico non ha mai avuto occasione di dubitare. Contrariamente alle ribellioni di Antigone e Caligola, quella inaudita di Prometeo ha un bersaglio talmente gigantesco da apparire disperata, impossibile. Del suo gesto, del suo amore per l’umanità restano solo una sensazione di vertigine che sembra anticipare la caduta imminente e non è un caso che lo spettacolo si sviluppi in senso verticale, non solo a livello scenografico. Già secondo François Mauriac (1885 – 1970), del resto, il mito del titano fondatore della civiltà dimostrava come la cattiveria e il dolore universali avessero sede nel corpo di ogni individuo e come, alla stesso tempo, servisse un uomo coraggioso per affrontare il peso opprimente di una verità così banale. Alla fine del nuovo spettacolo della Tosse, è proprio un uomo in carne e ossa quello che si allontana a testa alta dalla scena, verso la luce incerta e contro la gravità del testo eschileo, seguendo la traiettoria irregolare di un teatro coraggiosamente aperto al domani.

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opinioni autore

 
Prometeoedio 2015-10-19 14:59:39 Umberto Rossi
Giudizio complessivo 
 
8.0
Opinione inserita da Umberto Rossi    19 Ottobre, 2015
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