Sangue amaro dell’attrice e drammaturga Mariagrazia Pompei e di Valerio Marini racconta una storia semplice, al limite del banale. In una famiglia marginale – madre, figlio, figlia, domestica d’origine esteuropea e nonno affetto da demenza senile – accade un fatto altamente drammatico.
Il giovane ha portato a casa un bel po’ di danaro che gli è stato affidato da uno strozzino affinché lo ricicli, ma il vecchio lo ha bruciato scambiandolo per cibo. Ora bisogna restituirlo al malavitoso che, altrimenti, reclamerà una punizione esemplare. L’idea è quella di rapinare un ufficio postale assieme ad un amico del ragazzo, complice con lui nel riciclaggio. La cosa va male, il giovane è arrestato e condannato a una lunga pena detentiva che evita anche perché la domestica, che è la sua amante, dà alla luce un figlio. Rimane la somma da restituire al malvivente onde evitare ritorsioni dolorose. Sarà la madre, complice il figlio, a trovare la soluzione: avvelenerà il vecchio padre entrando così in possesso dei suoi risparmi custoditi in banca. L’interesse del testo è nella costruzione di un ambiente umano in cui non esistono valori civili, intesi in senso tradizionale, ma solo esigenze basilari legate a regole in cui la forza fa premio sulla giustizia. La messa in scena di Jacopo-Maria Bicocchi sfrutta intelligentemente una distesa di vecchi abiti trasformandoli ora in borse, ferri sa stiro, oggetti casalinghi vari. E’ una piccola trovata che dimostra ancora una volta come il buon teatro non ha forzatamente bisogno di grandi mezzi economici, ma di un alto livello di fantasia e ingegnosità. Ottimi i sei giovani interpreti, fra cui spicca Mario Cangiano.