Pino Petruzzelli è un grande narratore. Di questa sua capacità ha fatto una precisa cifra stilistica messa al servizio degli umili, gli zingari, gli ebrei e, più in generale, di coloro che vivono al margine della società e Tirano la vita con i denti ma non per questo sono privi di una precisa dignità e scelta morale.
Sono scelte di vita che spesso collidono con quelle ufficiali ma che sanno anche cogliere l’essenza profonda delle cose, recuperare quei valori che le sovrastrutture, sociali ed economiche, spesso nascondano o soffocano. Sono tali le spinte che muovono Pasquale, un maestro d’ascia lampedusano che vive in una casa fra mare e monti, edificio che si è costruito con le proprie mani riciclando gli oggetti, in particolare bottiglie, che la risacca getta sulla spiaggia o che gli uomini, soprattutto turisti, abbandonano sull’arenile. A questa figura l’attore e regista aveva già dedicato un capitolo del suo libro Gli ultimi, pubblicato nel 2012 con una prefazione di Don Andrea Gallo. Ne fa ora il centro della narrazione de L’uomo che raccoglieva bottiglie, uno straordinario monologo che ripercorre la vita di quest’isolano passato dalla miseria di una famiglia artigiana, al lavoro sul mare e al ritorno a casa in un’oasi di pace che mette alla porta le preoccupazioni e i falsi triboli del mondo moderno. Un tentativo quasi disperato di recupero dei valori profondi annebbiati dal vorticare di un’esistenza pirotecnica quanto insoddisfacente, piena di cose quanto orfana di valori veri. Ne nasce uno spettacolo toccante e corposo che affida al sentire umano il suo punto di forza. Quasi un ritorno al passato fresco e indispensabile quanto pochi altri.