Il trentacinquenne Stefano Massini è uno degli autori teatrali più sensibili agli aspetti sociali. Partendo da un fatto di cronaca che ha visto protagoniste le operaie di una fabbrica tessile francese di Yssingeaux, nell’Alta Loira, ha scritto 7 minuti, un copione che Alessandro Gassmann ha messo in scena con consumata bravura.
L’ambientazione è stata trasferita in Italia, qui le undici appartenenti al consiglio di fabbrica di un’azienda, da poco passata di mano, devono esprimersi sulla proposta dei nuovi dirigenti di tagliare di sette minuti la pausa giornaliera. In cambio non ci saranno né licenziamenti né cassa integrazione. Sembra una richiesta da nulla e, infatti, quando la portavoce del consiglio la rende nota, tutte le altre sono pronte a dire sì, persino con entusiasmo, vista la paura che avevano di rimanere senza lavoro. Tutto si chiuderebbe in pochi minuti se la stessa anziana sindacalista non avanzasse dubbi sulla reale portata della richiesta, per loro e per l’intera classe operaia. In questo modo una decisione che sembrava liquidabile in breve tempo, scatena una discussione che si protrae sino alla mattina del giorno dopo. Il risultato sarà cinque a favore e altrettante contro, con la parola che passa all’undicesima operaia sulla cui incertezza si chiude il sipario. Il modello, apertamente citato anche nei materiali di sala, è La parola ai giurati (Twelve Angry Men, 1954) di Reginald Rose (1920 – 2002) di cui lo stesso Alessandro Gassmann ha curato una bella regia nel 2008. La forza dello spettacolo è nella salita alla ribalta del mondo del lavoro con le paure e ricatti che segnano un periodo di profonda crisi economica. Tipico teatro di parola nel senso più alto e nobile del termine, allinea attrici di grande spessore con le dieci interpreti, fra cui alcune in ruoli di immigrate, capeggiate da una straordinaria Ottavia Piccolo, che danno il meglio di sé regalando allo spettatore una proposta intensa e commuovente.