La vita che ti diedi è il titolo di un dramma di Luigi Pirandello (1867 – 1936), ispirato alle sue novelle La camera in attesa (1916) e I pensionati della memoria (1914), scritto nel 1923 e messo in scena lo stesso anno al Teatro Quirino di Roma da Alda Borelli. Non è uno dei testi più significativi di questo drammaturgo e questa è una delle ragioni della sua scarsa presenza sui palcoscenici negli ultimi cinquant’anni.
Marco Berardi lo ripropone ora, prodotto dal Teatro Stabile di Bolzano, in una versione elegante quanto rivelatrice degli anni che pesano sulle spalle di quest'opera. E’ quasi un’operazione archeologica che fa rivivere modi recitativi e tematiche irrimediabilmente datate. Donn’Anna Luna vive nel ricordo del figlio che sette anni prima ha lasciato la casa natale. La sua è quasi un’ossessione che ha fissato un’immagine dell’uomo così come era quando è partito. All’improvviso lui ritorna segnato da una malattia chein pochi giorni lo porterà alla tomba. Ora la donna è rimasta nuovamente sola e, per giunta, deve misurarsi con l’amante del defunto e con la di lei madre. Un confronto aspro e teso da cui emergerà la forza dell’amore materno, unica energia capace di far continuare a vivere il ricordo del morto. Tutto questo raccontato con un linguaggio quasi arcaico, tipico della pomposità della scena degli anni venti, senza neppure un tentativo di distacco critico o di lettura moderna. Ne risulta uno spettacolo classico sino alla polverosità, incapace di suscitare nello spettatore il minimo sussulto emotivo. Quasi un vecchio saggio di recitazione emerso dagli anni senza una vera ragione e con l’unico dato positivo di una scenografia limpida.