Torna alla Tosse The Wedding Singers (Le cantanti da matrimonio), il fortunato spettacolo di fantasmi musicali scritto da Luca Ragagnin e diretto da Emanuele Conte. Ad ospitarlo è stavolta la Sala Campana, uno spazio decisamente più intimo, in cui al performer di turno basta letteralmente tendere la mano per rompere l'illusione e toccare lo spettatore.
L'atmosfera, in questa ripresa, si è perciò fatta più raccolta, quasi confidenziale. La scena è sempre quella di un ricevimento nuziale sconvolto da un vento improvviso, con palloncini, tavoli ribaltati e luci fioche a illuminare un trio di musicisti seduti a un lato del palco. Comparendo dal nulla, si unisce loro dopo pochi istanti una donna scarmigliata, avvolta in un abito con strascico il cui biancore contrasta con il buio che incombe. La sposa misteriosa è la rocker bolognese Angela Baraldi, impegnata ancora una volta a interpretare nove celebri artiste, scomparse tra gli anni trenta e l'inizio del nuovo millennio. La sua voce, accompagnata live dalla Band Edgar Caffè, ne attraversa storie, canzoni e amori, declini e morti. Il suo corpo si fa presenza misteriosamente effimera in uno spazio di sole note e memoria. Spettro d’apertura è Laura Nyro (1947 – 1997), le cui cupe riflessioni preludono a And when I die. Di Judee Sill (1944 – 1979), per rapidi flash, si rievocano l’infanzia difficile consumata tra un patrigno violento e una madre alcolizzata, la tossicodipendenza e infine l’estro musicale, con l’esecuzione della suggestiva The kiss. Quello di Janis Joplin (1943 – 1970) è invece un grido d’amore che si esaurisce in una vibrante versione di Mercedes Benz, mentre Karen Carpenter (1950 – 1983), uccisa dall’anoressia, si rivede sul letto di morte, prima di intonare A Song for You. Cass Elliot (1941 – 1974) dei The Mamas & The Papas è una voce che emerge da un appartamento vuoto per intonare California Earthquake, così come voci lontane sono quelle che rivivono l'incidente sulla Route 61 in cui trovò la morte Bessie Smith (1894 – 1937), l'Imperatrice del Blues. Dusty Springfield (1939 – 1999) dà le spalle al pubblico e, nel ricordare la caduta da icona della Gran Bretagna perbenista a personaggio chiacchierato a causa di depressioni e bisessualità, si strugge per il flop del suo disco capolavoro, Dusty in Memphis, dal quale sfodera la celebre Son of a Preacher Man. L’apparizione di Nina Simone (1933 – 2003) è una cavalcata lungo le malinconie jazzate di una vita errabonda, popolata da uomini violenti e segnata dalle lotte per i diritti civili. Le note di Rhumba Girl di Nicolette Larson (1952 – 1997), angelica meteora country-pop, accompagnano la chiusura del sogno, l’uscita di scena verso una luce tenue sul fondo del palco. Le canzoni – citiamo con qualche libertà – sono matrimoni di sconosciuti e le cantanti, benevole corifee, nient’altro che cantanti da matrimonio. Inquieto e onirico, lo spettacolo si muove dunque su due piani: da una parte la scrittura densa del drammaturgo, che ricostruisce con pochi tocchi e immagini crude o rarefatte le vite delle sue antieroine tragiche, e dall’altra i pezzi musicali, punti di arrivo o di partenza delle singole narrazioni, sintesi sonore di brevi percorsi rievocativi. Ciò che è scomparso per sempre (corpi e volti di artiste strette tra la drammaticità del quotidiano e la fatuità del successo) e ciò che è rimasto (la loro musica scaturita da fragilità spesso inconfessabili) si lambiscono per poi intrecciarsi in un flusso narrativo nel quale l’omaggio post-mortem riesce a farsi testimonianza e riaffermazione di una musica sopravvissuta al logorio del tempo. L’alternanza continua di monologo e canzone non scade mai nella ripetitività, grazie soprattutto a una regia essenziale che trova l’equilibrio imponendo pochi movimenti studiati alla cantante e attrice, prima di ricongiungerla puntualmente con il microfono. Perché, in fondo, in questa fusione di melodie e suggestioni di parola tutto ruota intorno al talento della protagonista, presenza scenica forte e carismatica, interprete istintiva, voce ruvida in grado di restituire i desideri, i rimpianti, le sofferenze e la disperata energia di donne bruciate dalla vita, dall’amore e dall’arte. Da recuperare.
(foto di Donato Aquaro)