Germania, giorni nostri. Gospodin disprezza il capitalismo e rifugge il denaro, considerandolo strumento di corruzione e oppressione dell'individuo. Ha un piccolo appartamento, una fidanzata e soprattutto un lama, sul quale ha cercato di costruire un nuovo stile di vita alternativo, che parrebbe non costringerlo a sottostare alle regole dell'odiata società borghese e consumista. Il presente, insomma, è il suo nemico e l'esistenza una dura lotta per la purezza.
Quando però l'animale gli viene portato via a tradimento da Greenpeace, ha un crollo. Di lì a poco lo pianta in asso esasperata anche la donna, lasciandolo tra le quattro mura di casa in compagnia di qualche elettrodomestico e della sua ostinazione. Gli sviluppi successivi, complice una valigetta piena di soldi, avranno dell'incredibile. Philipp Löhle, drammaturgo tedesco poco più che trentenne, attivo già da anni al Nationaltheater di Mannheim e al Maxim Gorki Theater di Berlino, ama i paradossi. Il suo sguardo sul mondo è pervaso da un umorismo caustico che gli permette, con la sola forza di dialoghi e situazioni surreali, di aggredire le contraddizioni della realtà e dell'individuo inteso come soggetto sociale. Gospodin, in questo senso, è un'opera emblematica: un folle e spassoso viaggio nell'alienazione di un uomo stretto tra la morsa del limite e la vertigine della libertà, in fuga da se stesso e dal vivere civile. Parabola a tratti acidissima sull'impossibilità di relazionarsi al mondo, il testo è ora portato in scena da Giorgio Barberio Corsetti in uno spettacolo che colpisce, di primo acchito, per la ricchezza e la complessità dell'apparato visivo. L'uso intelligente e profondamente suggestivo del chroma key e un video mapping pressoché continuo trasformano lo sfondo e i tre pannelli della scenografia in uno spazio indefinito, in una sorta di tela animata su cui gli scenari delle incursioni nella città alienante si alternano alle proiezioni mentali di un protagonista prigioniero di un'ossessività scambiata per logica inappuntabile. Gli presta corpo e voce uno stranito Claudio Santamaria, quasi perfetto come antieroe al contempo buffonesco e tragico, patetico e inquietante. Sensazionale è poi la prova di Valentina Picello e Marcello Prayer, capaci restituire con mimetismo impressionante tutta la moltitudine di personaggi gravitanti in questa irresistibile tragicommedia sulla coerenza suicida e un lama rapito.
Grande teatro