Eduardo De Filippo scrisse e rappresentò Il sindaco del rione Sanità nel 1960. L’idea del personaggio principale gli era venuta da tale Campoluongo che aveva raggiunto un certa agiatezza fabbricando mobili ed era molto stimato nel suo quartiere (la Sanità) per cui a lui si ricorreva per consigli e per dirimere liti, ma che, afferma l’autore, non aveva alcun legame con la camorra. Precisazione quanto mai opportuna in quanto molti critici videro nella figura del protagonista dell’opera, il possidente Don Antonio Barracano, un tipico capobastone.
Questa lettura pesò negativamente sulla valutazione del copione, in seguito inserito dallo stesso autore fra le Cantate dei giorni dispari, che rimane uno dei più ambigui e meno riusciti della produzione di questo teatrante. Riprendere in mano questo testo, come ha fatto Marco Sciaccaluga, richiedeva una rilettura netta, magari un approccio che sottolineasse l'angolatura proposta dall’autore in risposta alle obiezioni avanzate da alcuni critici che vi avevano visto quasi un inno alla vecchia camorra, quella dotata di un preciso (supposto) codice etico. Il regista, invece, ha preferito seguire la strada della drammatizzazione shakespeariana, lasciando in ombra la delusione del protagonista per il fallimento della sua azione volta ingenuamente a trasformare il mondo da tondo in quadrato. L’approccio utilizzato mette da parte, sin quasi a farlo scomparire, il parallelo fra le ingiustizie del passato e quelle del presente, unita all’inanità degli sforzi per ristabilire almeno una parvenza di giustizia. E’ questa la condizione in cui si viene a trovare il protagonista che, se riesce a colpire lo strozzino che opprime i poveracci, fallisce quando tenta di aggredire la cupidigia e la malafede di un ricco borghese da cui riceve una coltellata mortale non compensata dai milioni che lo costringe ad elargire al figlio diseredato solo perché si è innamorato e ha messo in cinta una povera ragazza. In quest’ottica il ravvedimento finale del dottore, complice per una vita del patriarca, suona ancor più posticcio. Certo, lo spettacolo c’è tutto ed è di alto livello, sorretto com’è dall’interpretazione di Eros Pagni magistrale soprattutto nei sottotoni, ma rimane l’amaro di un’occasione parzialmente compromessa da una lettura poco coraggiosa.