Sir John Falstaff è un personaggio creato da William Shakespeare (1564 – 1616) per le due parti in cui si articola la tragedia Enrico IV e che ricompare nella tragicommedia Le allegre comari di Windsor per poi essere nominato, ma non comparire, in Enrico V in cui si racconta la sua morte. Figura corpulenta e godanciana ha ispirato musicisti, Giuseppe Verdi (1813 – 1901), e cineasti il più noto dei quali rimane Orson Welles (1915 – 1985) che nel 1965 gli dedicò un film di cui fu anche interprete: Falstaff (Campanadas a medianoche) (Falstaff – Campane di mezzanotte).
Seguendo un percorso simile a quello scelto dal grande regista americano, Andrea De Rosa ha messo assieme uno spettacolo che pesca a piene mani dai citati testi shakespeariani curandone la regia e affidandone la realizzazione soprattutto alla fisicità di Giuseppe Battiston. Un palcoscenico pieno di tappeti e divani che, all’inizio, piovono dall’alto e che, alla fine, sono raccolti in una rete che li ricolloca nel cielo del palcoscenico, il corpulento Sir proclama la sua filosofia di vita fatta di godimenti e trasgressioni (sino alla rapina) facendone l’asse dell’insegnamento al futuro re Enrico V, E’ un mondo dominato da bevute, donne seminude, battute salaci destinato ad essere sostituito, una volta che il giovane principe ascende al trono, da un richiamo all’ordine che non concede più spazio al gaudente libertario il quale, non a caso, è esiliato. Non tutto è chiarissimo nel testo, ad iniziare dalla trasformazione del bon vivant nell’Enrico IV morente, così come i ventri posticci e i topless femminili appaiono più scenografici che realmente funzionali all’economia dello spettacolo. In definitiva un approccio pregevole, ma risolto solo in parte.