Alla base del giudizio non positivo su La mamma più forte del mondo dell’autrice e attrice Barbara Moselli c’è la constatazione dell’esilità della vicenda rappresentata. Ridotto ai minimi termini il testo racconta la storia di una madre iper possessiva alle prese con due figli, un maschio e una femmina, alla ricerca faticosa di un’emancipazione che consenta l’uscita dal soffocate bozzolo familiare.
La ragazza ha appena ottenuto un lavoro a Londra e deve partire, il fratello è omosessuale e non ha il coraggio di dirlo alla madre. Entrambi devono confrontarsi con una genitrice che utilizza le sue pseudo fragili condizioni di salute per tenere i figli legati a se e impedire loro di conquistare piena autonomia. E’ una situazione non nuova che, al massimo, offrirebbe materia per un breve testo, non certo per uno spettacolo di un’ora e mezzo della versione portata sul palcoscenico da Matteo Alfonso e Tommaso Benvenuti. I due registi hanno dovuto fare buon viso a scarsa materia, per cui hanno dilungato i tempi e rimpolpato la rappresentazione con piroette, esibizioni ginniche, cadute e esaltato nei dialoghi parolacce e urli vari. Ne nasce uno spettacolo ripetitivo che gira intorno, molte volte e inutilmente, a un tema già chiaro e definito nel primi venti minuti. Che dire, poi, del repentino lieto fine in cui la madre rinsavisce quasi di colpo, accetta le scelte dei figli e ne benedice l’allontanamento? Quanto meno che si tratta che di una giravolta narrativa scarsamente motivata. In definitiva siamo in presenza di una proposta in cui gli attori danno il meglio di se e la regia fa il possibile per rimpolpare un testo debole e non esente da ovvietà.