Le baccanti di Euripide, nella versione che ne ha dato Edoardo Sanguineti alla fine degli anni sessanta, è il testo scelto da Massimo Mesciulam come saggio di fine corso della scuola del Teatro Stabile di Genova. E’ un copione scritto, con buona probabilità, fra il 407 ed il 406 a.C. quando l’autore era alla corte di Archelao, re di Macedonia, e rappresentata, altrettanto probabilmente, nel 403 a.C.
Vi si narra l’ira di Dioniso, il nume del vino, verso i tebani che avevano messo in dubbio la sua natura divina. Il portavoce di questo disconoscimento è Pénteo, re della città, che vien travolto dalla furia del Dio al punto di finire dilaniato dalla sua stessa madre, resa folle da Dioniso. Edoardo Sanguineti e, sulla sua scia, Massimo Mesciulam, leggono questo conflitto come uno scontro fra il fantastico e il freddo razionale, fra le ragioni dell’immaginazione gioiosa e quelle del realismo. E’ una lettura in parte figlia degli anni in cui fu proposta, mesi in cui la ribellione giovanile sognava l’immaginazione al potere. In realtà il testo, soprattutto in questa versione, non contiene figure positive: Dioniso non è meno crudele e bizzoso del re laico, mentre la madre di Pénteo è più una feroce assassina che una portabandiera della libera fantasia. Sono binari abbastanza stretti su cui la regia si incammina a fatica, badando più alle performance dei giovani allievi che non a dare un senso originale al testo. Unico elemento interessante è quello di aver imposto alle attrici una recitazione con toni stranieri, quasi a suggerire una sorta d'identificazione fra i rivoltosi di ieri e gli immigrati di oggi. Ne nasce una prova utile e importante come saggio di fine corso, ma ben poco stimolante e originale nel quadro del lavoro di un regista che, in altri casi, ha fornito prove ben più convincenti.