Niccolò Machiavelli (1469 – 1527) scrisse Il principe nel 1513, ma il libro – dedicato a Lorenzo Il Magnifico dopo una prima idea di offrirlo a Giuliano de’ Medici, morto nel 1516 – fu pubblicato postumo, nel 1532. E’ un saggio in ventisei capitoli che tracciano le qualità ideali di un governante giusto, ma anche astuto, moderato ma anche impietoso con i nemici.
Nacque da questo autore l’aggettivo machiavellico utilizzato, nel bene e nel male, per qualificare il comportamento di un politico abile nel destreggiarsi nel meandri della lotta per il controllo degli affari pubblici. Il regista Stefano Massini ha avuto la bella idea di affidare questa serie di precetti ad un gruppo di cuochi che ricevono dallo stesso Nicolò Machiavelli l’incarico di forgiare un cibo ideale per l’Italia. Ecco allora aprirsi varie discussioni su quanta astuzia o senso della giustizia mettere nella ricetta, su far prevalere il salato della fermezza, al limite della crudeltà, o privilegiare lo zucchero che facilita l’ammirazione dei sudditi, sull’esaltare il decisionismo o mettere l’accento sullo spirito collettivo. Il tutto infarcito, come accade nel libro, di esempi di governanti del passato che hanno incarnato l’una o l’altra di queste doti. Ne nasce uno spettacolo a un tempo mosso e riflessivo, chiuso dalla desolante constatazione, affidata alle penne di illustri intellettuali (Indro Montanelli, Pier Paolo Pasolini, Natalía Ginzburg), che questo paese ha un’anima inguaribilmente anarchica di destra, secondo la felice definizione di Eugenio Scalfari. In altre parole uno spettacolo bello e intelligente che ha il pregio di inquietare e far riflettere, affascinare e preoccupare.