Ci è voluto non poco impegno e confusa fantasia per mettere in scena uno spettacolo culturalmente pasticciato come questa riedizione della commedia Non è vero ma ci credo scritta da Peppino De Filippo nel 1942. A un esito così negativo hanno contribuito la modesta regia di Michele Mirabella, cui si devono intrusioni infelici come la citazione del nome di Sergio Marchionne e battute come ha da passà 'a nuttata (la notte deve passare), tratta da Napoli Milionaria di Eduardo De Filippo, fratello dell’autore e con lui in rotta da tempo, scritta 1945, tre anni dopo questa di cui stiamo riferendo.
Una responsabilità non minore grava su Sebastiano Lo Monaco che interpreta il ruolo principale e lo fa con toni ancor più istrionici di quelli con cui è solito rivestire i personaggi che posta in scena. La storia è quella di un industriale conserviero napoletano che, in un tempo non meglio definito (la scenografia cita film, pubblicità e programmi televisivi della fine degli anni cinquanta, ma la cosa appare legata a ragioni puramente decorative), che deve misurare le proprie parossistiche paure iettatorie con una situazione lavorativa e familiare popolata da macchiette che lo assecondano per pura convenienza. Moglie e figlia, unici personaggi dotati di una minima razionalità, lo gabberanno allegramente, consentendo allo spettacolo di approdare a un lieto fine prevedibile sin dall’inizio. In altre parole si tratta di un copione non destinato a entrare nella storia del palcoscenico che regista e interprete principale spingono ancor più verso un approdo farsesco privo di una qualsiasi complessità interpretativa. Forse oggi la fustigazione della paura del malocchio ha un senso se rivolta a limitati ambienti popolari, ma appare del tutto estranea a un qualsiasi discorso sulla classe industriale moderna. In altre parole la proposta di regista e interprete non soddisfa né un discorso filologicamente preciso, né un‘attualizzazione accettabile. Da evitare con cura.