William Shakespeare (1564 – 1616) scrisse Antonio e Cleopatra fra il 1607 e il 1608, in una fase di maturità artistica. Qui il Bardo affronta uno snodo storico di grande importanza: quello che, nell’antica Roma, segnò il passaggio dalla repubblica all’impero, dal governo allargato e regolato dai senatori, al dominio di una sola persona in grado di cedere il bastone di comando per via ereditaria.
Il grande drammaturgo si muove su questo difficile terreno costruendo un melodramma che offre molte suggestioni al pubblico: la storia d’amore e morte fra Marco Antonio (83 a.C. – 30 a.C.) e Cleopatra, Regina d’Egitto (69 a.C. – 30 a.C.). Un relazione tempestosa, inserita nelle lotte per il potere che coinvolsero i triunviri (Ottaviano Augusto, Marco Antonio e Marco Emilio Lepido) che avevano preso le redini della politica dopo l’assassinio di Giulio Cesare (100 a.C. – 44 a.C.). Uniti nella lotta contro i congiurati (Gaio Cassio Longino e Marco Giunio Bruto) questi militari si scontrarono quasi subito, affrontandosi in battaglie e vere e proprie guerre. Luca De Fusco ha un’intuizione non banale, quella di rappresentare il dramma come fosse interpretato da statue. Tale è il trucco imposto agli interpreti, tali sono i formidabili mezzi tecnici impiegati per affiancare i gesti scenici, ingigantirli, selezionarli nei particolari, trasformare le pose statuarie in fluida recitazione. In questo modo la Storia, con la esse maiuscola, ritorna ad essere fatto umano e le stesse auliche frasi del copione assumono nuovo significato. Ne nasce uno spettacolo davvero originale che coglie il meglio della recitazione dal vivo e della immagini elettroniche. Una proposta di non semplice lettura, ma molto stimolante.