Massimo Carlotto è uno scrittore dalla biografia aggrovigliata. Nel 1976, quando aveva solo diciannove anni e militava in Lotta Continua, è stato accusato di aver ucciso una ragazza che lui sostenne aver solo soccorso quando era già morente. Processato e condannato a diciotto anni di carcere, pena definitivamente confermata dalla Corte di Cassazione di Venezia nel 1982, è fuggito in Francia e Messico. Da qui è stato estradato alla metà degli anni ottanta per scontare la pena.
La nascita di un comitato d’intellettuali e giuristi schierati a sua difesa indusse il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro a concedergli la grazia nel 1993. Dopo essere stato liberato ha iniziato a pubblicare romanzi, racconti, testi di storie a fumetti che hanno offerto materia per film, radiodrammi, documentari. Il personaggio più noto della sua vasta produzione è l’investigatore privato detto l’Alligatore, protagonista di cinque romanzi e due racconti. La sua ultima fatica s’intitola Crime Stories ed è un testo teatrale che approda sul palcoscenico per la regia di Giorgio Gallione. Uno scrittore è richiesto dal suo editore di scrivere un libro sulle mafie, argomento che non rientra fra i suoi interessi del momento. Si convince solo dopo aver letto una notizia di cronaca che racconta di un mafioso che ha ucciso un transessuale di cui si era innamorato e deciso di trasformarsi in pentito per evitare il carcere. Il dialogo fra il romanziere e il personaggio, materializzatosi sulla scena, diventa un racconto – riflessione sul crimine organizzato (siciliano, calabrese, napoletano, russo, nigeriano, albanese, cinese e chi più ne ha più ne metta) e sul modo in cui silenziosamente questi delinquenti si sono impadroniti dell’economia legale, hanno smesso di uccidere – tranne casi di assoluta necessità – preferendo dedicarsi a fare affari. Sono temi non originalissimi, ma che l’autore – interprete porge con chiarezza e semplicità aiutato da una regia che, come è nelle abitudini di Giorgio Gallione, punta più sulle idee che non sulle ridondanze scenografiche, facendo leva sulla pulizia della scena e della recitazione più che sugli orpelli ad effetto. Davvero uno spettacolo di grande forza e suggestione.