William Shakespeare (1564 – 1616) scrisse e fece rappresentare La bisbetica domata (The Taming of the Shrew) nel 1593, terza di quelle che solitamente sono classificate come le sue commedie. La storia al centro del copione è nota, e ruota attorno a Petruccio, cacciatore di dote veronese, che sposa la padovana Caterina attirato soprattutto dalle ricchezze del padre.
Quest’ultimo ha imposto ai pretendenti della figlia minore, Bianca, la sospensione di ogni decisione sino a quando la primogenita non avrà trovato marito. La cosa è tutt’altro che facile in quanto la ragazza ha un carattere forte, non tollera imposizioni, si considera del tutto pari agli uomini e rivendica i loro stessi diritti. Lo sposo interessato riuscirà a domare la consorte facendo ricorso ad una serie di imposizioni – niente cibo, né sonno, freddo e abiti chiassosi – mascherate da attenzioni affettuose. Questa vicenda ha dato spunto ad almeno una decina di film e a numerose versioni teatrali. Fra le principali trasposizioni sul grande schermo ricordiamo La bisbetica domata (1967) di Franco Zeffirelli con Elizabeth Taylor e Richard Burton. E’ ora la volta di un altro cineasta, il russo Andrej Konchalovskij, che propone una lettura sterzata negli anni trenta come dimostrano i costumi indossati dagli attori. Un altro riferimento importante è alle città metafisiche di Giorgio De Chirico che marcano le gigantografie, assunte come fondali, e che delimitano uno spazio entro il quale gli attori esercitano una recitazione dai ritmi frenetici e dalla citazioni a pioggia. Charles Chaplin ma anche Salvator Dalì, l’età del charleston ma anche la commedia dell’arte, il teatro di varietà ma anche quello sperimentale. E’ una miscela sicuramente divertente e provocatoria, ma troppo ricca d’ingredienti per non risultare anche dispersiva. Una buona prova registica, per uno spettacolo non indimenticabile.