Shining City (Città splendente) è un testo del commediografo e regista irlandese Conor McPherson (1971) rappresentato per la prima volta a Londra nel 2004. Al centro del copione c'è un ex religioso ritornato a vita laica e diventato psicoterapeuta. La storia si dipana attorno a tre personaggi che, in vari momenti, capitano nel suo studio: un vedovo ossessionato dal ricordo della moglie della cui morte, avvenuta per un incidente d’auto, si ritiene responsabile e il cui fantasma gli compare ogni tanto, la compagna dell’ex – prete che lui vuole lasciare e un marchettaro che diventa il rilevatore della latente omosessualità dell’analista.
E’ un testo molto forte, dotato di dialoghi straordinariamente efficaci la cui conclusione è segna un vero e proprio transfert: il marito ossessionato è guaito e rintona a vita normale, ma ora è il terapeuta a vedere il fantasma della donna. Il centro del discorso ruota attorno a tre solitudini. Quella del vedovo che non riesce a perdonarsi una fuggevole infatuazione per un’altra donna, quella della compagna dell’analista che non accetta di rimanere sola e che, per lo stesso motivo, ha avuto una sordida storia sentimentale con un altro uomo e quella del prostituto che riempie il vuoto morale ed economico di cui è preda vendendosi. La regia giostra mirabilmente i pochi arredi scenici (alcuni vecchi mobili, un ammasso di materiali da ufficio) e ha un vero colpo di genio in un secondo sipario, posto alle spalle del primo, che, aprendosi e chiedendosi, scandisce sia il traffico dei personaggi sia lo scorrere del tempo. E’ uno spettacolo di grande forza, recitato magistralmente e che affronta temi di grande importanza, a iniziare dall’isolamento dei protagonisti. Naturalmente la Città splendente del titolo ha una valenza del tutto ironica.